23 aprile 2003 Milan-Ajax 3-2: che notte quella notte
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Editoriali

23 aprile 2003 Milan-Ajax 3-2: che notte, quella notte

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Ajax

Il ricordo di quella notte memorabile; a 17 anni di distanza le emozioni di una partita che ha segnato la storia del Milan

17 anni fa si disputava una delle partite iconiche della storia recente del Milan; quella vittoria con l’Ajax rappresentò l’inizio di un ciclo, quello di Ancelotti che portò nella bacheca rossonera ben due Champions League (e potenzialmente ne avrebbe potute portare almeno altre due).

Ma quella notte non c’era tempo per pensare alla storia; quella notte c’era ansia e preoccupazione. Il Milan veniva da una faraonica campagna acquisti estiva con gli arrivi di Nesta, Rivaldo e Seedorf ma in campionato era 2° dietro la Juve e in Champions, nonostante i risultati brillanti ottenuti nei due gironi (all’epoca c’erano due gironi, non gli ottavi, ndr) il gioco stentava a decollare. All’andata, all’Amsterdam ArenA finì 0-0 contro i lancieri e il return match a San Siro sapeva tanto di fregatura dietro l’angolo. In più la Juventus e l’Inter avevano già strappato il pass per le semifinali uscendo indenni dal Camp Nou di Barcellona e dal Mestalla di Valencia.

In questo clima infuocato arriva così quel mercoledì 23 aprile, era appena passata la Pasqua e il Milan era chiamato semplicemente a vincere contro l’Ajax«Avrete mica paura di una squadra di ragazzini?», il commento standard dei tifosi avversari. Peccato che tra quei ragazzini ci fossero Ibrahimovic, Sneijder, De Jong, Van der Meyde, Chivu; insomma gente di cui si sarebbe sentito parlare e parecchio in futuro. E poi c’era lui, l’inossidabile Jari Litmanen. Quando lo abbiamo visto entrare ad inizio secondo tempo, tutti ci siamo preoccupati ed infatti ecco l’1-1. Non so quanti di voi abbiano avuto la sfortuna di vedere quella partita insieme a parenti o amici tifosi dell’Inter o della Juve; chi vi scrive l’ha avuta. Avevo il nonno interista a sinistra, lo zio juventino a destra. Fu uno strazio ma Sheva rimise subito le cose a posto finché non arrivò Steven Pienaar… Non era possibile, un gol così, da uno così, a 10′ dalla fine con i vicini che all’unisono urlavano: «A casa… Il Milan dei fenomeni a casa contro dei ragazzini».

Dura sopportare un finale di partita tra l’ansia di perdere e dei vicini che ti ricordano continuamente che te ne stai andando a casa; il cronometro scorre, Shevchenko ha l’occasione della vita al 90′ ma la sbaglia. Ormai non ci speri più, ormai butti la palla avanti con la forza della disperazione e con quella disperazione Maldini la lancia a 60 metri, Ambrosini va su di testa e Pippo Inzaghi ci mette la punta; il pallone è lentissimo, gli attimi sembrano anni, un po’ come sarà anche nel secondo gol di Atene, un altro pallone che sembra non entrare mai. Ma questo invece sta entrando, è a palombella ma sta entrando. Ti alzi in piedi, fissi il pallone che scende verso la rete, sei sicuro, ormai è gol quando all’improvviso spunta un piedino biondo che la tocca sulla linea; è Tomasson che la corregge in rete e tu sai per certo che l’arbitro Mejuto Gonzalez annullerà per fuorigioco. Nei sei talmente certo che ti blocchi, rimani impietrito, cerchi di capire, non ti lasci prendere dal facile entusiasmo, vuoi una certezza. Vuoi la certezza di non essere rimasto fregato anche stavolta. Nella realtà saranno stati due secondi, massimo tre ma nel tuo animo, nel nostro animo, son passati tre anni… Ma è gol, è buono, abbiamo vinto. Possiamo vendicarci del nonno interista e dello zio juventino, possiamo scendere in strada ad urlare tutta la tensione di 90′ che hanno segnato per sempre la nostra storia… Che notte, quella notte!

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