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Kakà, la verità di un campione ferito dalle proprie scelte e anche dallo sport

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Kakà si racconta in maniera aperta e dettagliata, l’ex campione rossonero evoca vecchi ricordi tra bene e male, tra gioie e soprattutto dolori

Brillano ancora gli occhi ai tifosi rossoneri quando si parla di Kakà, l’asso brasiliano entrato nel cuore del popolo milanista ha raccontato alcuni retroscena della sua vita privata e sportiva, molti degni di nota che ad oggi fanno riflettere coloro che lo videro lasciare il Milan, direzione Madrid. Ricardo Kakà è ormai un ex calciatore, ma è stato un vero fuoriclasse, un pallone d’Oro, con un solo probabile errore in carriera: lasciare il Milan per andare al Real. Almeno questo è quello che lascia intendere il brasiliano nella lunga confessione a Uol Esporte. “Quando sono andato a Madrid mi sentivo completamente perso, mi chiedevo chi ero, sono arrivato in Spagna come miglior giocatore del mondo, mi amavano tutti. A Madrid tutti volevano che me ne andassi. Mourinho? Non è stato facile lavorare con lui, quando sembrava che stesse per darmi un’opportunità non era così. Nella mia testa pensavo di potergli dimostrare chi ero, mi allenavo, lottavo, pregavo, facevo di tutto ma le soddisfazioni in campo non arrivavano. Quando andai via mi scrisse un messaggio dicendomi che ero uno dei migliori professionisti che aveva allenato“.

La delusione calcistica più grande, però, arrivò con la maglia del Milan, quella finale Champions contro il Liverpool persa ai calci di rigore. “La sconfitta peggiore mai incassata, ma anche la lezione sportiva miglioreHo imparato che la vittoria non si può controllare, dopo quella sconfitta vennero fuori tante indiscrezioni, si diceva che noi festeggiavamo negli spogliatoi alla fine del primo tempo, falso, impossibile per una squadra che aveva l’esperienza del Milan, una delle migliori squadre della storia che aveva una delle migliori difese di sempre, eppure prendemmo 3 gol in pochi minuti. Ho assistito ad una partita di Champions tra il Real e il Borussia Dortmund e a una del Milan a San Siro, la gente gridava il mio nome, mi ha fatto sentire tutto il suo affetto e io ho capito che ero nel luogo dove volevo stare, allo stadio, a guardare le partite e a fare il tifo. Il futuro? In questo momento non mi vedo né allenatore, né opinionista, forse preferirei fare il dirigente, ma è una decisione che devo maturare con il tempo“.

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