Calabria Milan: il terzino racconta la sua esperienza in rossonero
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Calabria: «La maglia del Milan è un privilegio, ora c’è un’aria nuova in società»

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Calabria ha raccontato cosa è successo nel suo primo provino per il Milan e sottolinea che a Milanello ora c’è un’aria nuova

Davide Calabria ha raccontato diversi retroscena della sua seppur breve carriera al Milan in un lungo post su The Owl Post. Il terzino ha parlato dei suoi primi giorni con la maglia rossonera ma anche della situazione attuale e futura del club.

Sugli esordi e il primo provino: Quando fai un salto triplo come quello che è capitato a me e ti ritrovi nella rosa di una delle squadre più importanti del Mondo riuscire a mantenere vivi gli affetti di sempre è già un bel modo di iniziare ad affrontare il cambiamento. Ti aiuta a tenere i piedi per terra e restare il ragazzo che sei sempre stato, anche se adesso a guardarti mentre vai al lavoro vengono migliaia di persone. Nella mia famiglia non c’era nessun appassionato di sport quand’ero piccolo e questa, secondo me, è stata una fortuna perché in casa il clima è sempre stato sereno e costruttivo, senza che a me arrivasse nessun tipo di pressione, anzi!

Crescendo e iniziando a capire un po’ di più le cose della vita però mi sono reso conto di quanti sacrifici i miei genitori abbiano dovuto affrontare per permettermi di andare a giocare ogni settimana, perché questo alla fine resta sempre e comunque un gioco. Sacrifici di cui allora magari non capivo del tutto il peso, ma ai quali oggi non riesco a non pensare, ogni weekend, prima di scendere in campo. Papà ai tempi faceva il muratore e solo dopo anni di duro lavoro è riuscito ad aprirsi un bar, e ci lavorava anche 15 ore al giorno pur di farlo funzionare. Mentre mamma faceva l’impiegata part-time in un ufficio: per cui non dev’essere sempre stato facile far quadrare tutti i conti ogni mese, come succede nella maggior parte delle famiglie. Mi hanno anche confessato che gli è capitato di discutere tra di loro per decidere se fosse il caso di continuare a portarmi ogni settimana fino a Milano, investendo così tanto tempo e così tanti soldi che magari potevano servire per altre cose nel bilancio famigliare. 

– Però – diceva mio mamma – come fai a dire ad un bambino che non potrà più mettere la maglia del Milan? –

Non me lo disse mai infatti.

Questa confessione me l’hanno fatta soltanto l’anno scorso perché da bambino volevano proteggermi e permettermi di vivere quell’esperienza con la testa sgombra da qualunque pensiero. Ora ci capita anche di riderci sopra, quando siamo a cena tutti insieme.

Mamma si sorbiva ore e ore di macchina per portarmi quattro volte a settimana alla fermata del pullman che mi avrebbe portato fino al campo; questo oltre al viaggio domenicale per la partita, che molto spesso durante le giovanili io passavo in panchina con il musone. Non ero uno di quelli che sembravano destinati a fare qualcosa d’importante. Per fortuna non tutto si può prevedere nella vita. Mamma che mi portava dappertutto e capiva poco di sport. Mamma che oggi fa il tifo e si appassiona a tutti gli aspetti del mio lavoro: io quelle centinaia di ore passate sui due sedili davanti della macchina non me le dimenticherò mai. Anche per questo mi piace prendermi il mio tempo per spiegare bene come funzionano le cose: perché dietro ad ogni traguardo ci sono state tante piccole tappe, ognuna con il suo prezzo da pagare e le sue difficoltà. E di questo bisogna ricordarsi. Mi da molto fastidio vedere quei ragazzi che pretendono tutto e subito: che si esaltano per una vittoria e vorrebbero buttare tutto all’aria dopo una sconfitta. 

Sull’ambientamento in un grande club: Se fai una gran partita sei il nuovo Cafù. Se sbagli non vali nulla. Molta gente, purtroppo, ragiona così e a me dispiace perché tutti i risultati e le prestazioni sono in realtà il prodotto di un percorso lungo e faticoso, nel quale sbagliare è parte del processo. Tanti in Italia pensano che i ragazzi giovani giochino poco per colpa di quello che c’è scritto sulla carta d’identità, ma io non ho mai incontrato un mister che la guardasse per davvero. In campo va chi merita, chi è pronto, e a volte per esser pronto serve del tempo perché nella foga di voler fare bene e di dimostrare chi è inesperto rischia di perdersi qualcosa. I tempi di alcune giocate, le letture, anche l’adattamento al livello fisico della serie A è un processo che richiede grande fatica. Nei primi due anni in rosa ho fatto fatica a trovare la continuità di rendimento ma, poco alla volta, mi sono meritato la considerazione dello staff e questo è tutto quello che mi serve per non smettere di migliorare.

Sulla nuova società e la rosa: Quest’anno poi a Milanello si respira davvero un’aria completamente nuova, che travolge tutti, che porta entusiasmo e che ci spinge a lavorare persino meglio rispetto al passato. Non soltanto grazie ai nuovi acquisti e alla carica che ci mette il mister, ma anche per la presenza forte della società, che ci fa sentire tutta la sua vicinanza ogni giorno. Per un difensore come me allenarsi tutti i giorni sotto gli occhi di Paolo Maldini è un carburante potente: anche solo a livello inconscio davanti a lui non vuoi sbagliare nulla, neppure in allenamento. Maldini e Leonardo presenti a Milanello sono uno stimolo straordinario, con la loro esperienza e con la capacità di dare il consiglio giusto al momento giusto. Bisogna anche dire che rispetto al passato abbiamo anche un Higuain in più nel motore e questa è una bella differenza! Dopo il suo primo allenamento a Milanello ho chiamato il mio agente e gli ho chiesto: – ma questo da che pianeta viene? – perché ero rimasto impressionato dalla sua tecnica e dalla conoscenza del gioco che ha. Lo spogliatoio è davvero molto unito e avere un’età media giovane mi aiuta a trovarci dentro i miei spazi personali. È un gruppo talmente compatto da cercarsi anche fuori dalle mura dello spogliatoio: usciamo spesso tutti insieme, ci sfidiamo costantemente durante gli allenamenti e questo aiuta a cementare i rapporti tra di noi. In più chi perde porta le paste per cui a Milanello così c’è sempre qualcosa da mangiare a fine seduta. Il più coinvolto di tutti è Pepe Reina, che sarà anche nel pieno della maturità calcistica ma ha la voglia di spogliatoio di un ragazzino: si vede che sa quali sono i tasti giusti da schiacciare per creare un gruppo sano e vincente.

Sull’affetto per il Milan: La maglia rossonera è pesante, ma indossarla è un privilegio straordinario. Cerco di imparare dai campioni che si allenano con me tutti i giorni e di non smettere mai il mio processo di crescita. Giocare a San Siro è come recitare a teatro: non puoi sbagliare niente perché il pubblico si accorge anche delle imperfezioni più piccole, visto che nel corso degli anni hanno potuto osservare dei Milan pazzeschi. Quando però guardo al mio futuro prossimo io ho sogni semplici. Sogni talmente semplici che in fin dei conti sono più dei progetti, degli obiettivi. Cose da andare a prendermi tenendo i piedi ben piantati per terra, perché nel calcio la bacchetta magica non ce l’ha nessuno e tutto quello che desidero per me stesso è: di riuscire a giocare con continuità e di vedere la mia squadra vincere più partite possibili. Che quando una squadra vince tutti i suoi componenti sono dei calciatori migliori.

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