Milan, parla Moncada: «Ecco i segreti del nostro scouting»
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Milan, parla Moncada: «Ecco i segreti del nostro scouting»

Avatar di Antonio Tiziano Palmieri

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Moncada ha svelato i retroscena delle ultime trattative di mercato che il Milan ha concluso per rafforzare la squadra

Geoffrey Moncada, uomo di punto dello scout del Milan, ha rilasciato una lunga intervista a Podcast Prolongation in cui ha parlato di mercato e del ruolo che Paolo Maldini svolge nelle trattative. Ecco tutte le parole di Moncada.

Sul ruolo di Maldini al Milan: «Tra le cose che mi piacciono al Milan c’è anche il fatto che lavoriamo con Paolo Maldini, che ha giocato li, che ama tanto questa società. Quando prendiamo un giocatore, Paolo Maldini parla con lui molto. È molto disponibile per lui, parla anche con la famiglia. Quando un giovane arriva al Milan dice ‘ah, è Paolo Maldini, è impressionante’. Se il lavoro di Maldini aiuta per capire dove il giovane sta arrivando, la sua nuova realtà? Si, assolutamente. Noi diciamo a questi giovani: ‘Ok, siete arrivati al Milan, il lavoro comincia adesso. Crediamo in voi, non dovete essere timidi, mostrate che avete talento e impatto. Il Milan è un immenso club. Tutto è in funzione del vostro successo’. Proviamo a tranquillizzare un po’ questi ragazzi».

Sul rapporto con Maldini: «Quando Paolo mi dice che questo giocatore è da Milan, che possiamo strutturarlo, aiutarlo a crescere, lo ascolto perché lui sa come si fa per diventare un top player. Ha giocato nel Milan che vinceva tanto. E ancora oggi, ha la passione nel sangue, ama tantissimo il Milan. Quando prendiamo un giocatore, Maldini ha un’attenzione particolare su tutto perché vuole che il giocatore sia un valore aggiunto. Parlo tanto con lui».

Sulla necessità di avere un buon reparto scouting: «Un tempo il Milan era già un grande club, quindi magari non avevano bisogno di lavorare tanto sullo scouting. Avevano preso il giocatore più forte del Sud-America, Ricardo Kakà, avevano preso Andriy Shevchenko che aveva già giocato in Champions e che era già molto forte. Andavano a prendere i più forti ovunque. Elliott ha chiesto di sviluppare l’area sportiva con lo scouting e i dati, le statistiche. Quindi abbiamo deciso di creare due cose: l’area scouting e l’area ‘dati’. L’uno lavora con l’altro ogni giorno. Quando uno scout vede un giocatore che gli piace, allora andiamo a vedere un po’ i numeri su tutto. Quando l’area ‘dati’ ci riferisce che abbiamo un giocatore forte con i numeri, chiedo agli scout di andare a vederlo. Mi piace questo mix, questo lavoro tra il live e l’aiuto delle statistiche. Per Elliott è importante avere dei rapporti con statistiche, video, non solo le osservazioni degli scout».

Sul lavoro con i giovani: «Abbiamo fatto un lavoro importante con i giovani. Non prendiamo giovani tanto per, è perché crediamo che sia la strada giusta. Il Milan non aveva questa reputazione di giocare con i giovani, quindi abbiamo lavorato su questo, abbiamo parlato molto con le famiglie dei giocatori dicendo che se prendiamo il giovane, è perché crediamo in lui. Non solo per farlo giocare una volta ogni tanto, questo no, è perché vogliamo che diventi un titolare. Quindi abbiamo lavorato sull’identità della squadra dicendo che il Milan stava cambiando progetto. Ci siamo presi molto tempo per questo, ma sta funzionando. Oggi, ci sono tante società, agenti, scout che mi chiamano per dire ‘Vogliamo venire al Milan, quello che fate è molto interessante…”. Ho amici nel gruppo Red Bull o a Dortmund ed altri club che lavorano molto sullo scouting e che mi dicono “Bravo, vediamo i cambiamenti al Milan, lavorate molto bene».

Su Theo Hernandez: «È un giocatore che conosciamo dall’U17/U19 dell’Atletico Madrid. È stato un lavoro durato 4-5 anni. L’opportunità di prenderlo è arrivata quando era un po’ in difficoltà al Real Madrid, che aveva appena preso Ferland Mendy. Avevamo visto le sue partite da giovane, i suoi progressi alla Real Sociedad in prestito, avevamo parlato con il suo entourage. Theo è un treno. Lui distrugge tutta la fascia sinistra. Nel calcio di oggi i terzini sono così e li vogliamo così. Il terzino moderno in una grande squadra deve essere un treno, correre tanto, come un matto. Lo seguivamo già all’Atletico Madrid, poi al Real Madrid, poi è andato in prestito alla Real Sociedad e mi dicevo ‘ma com’è possibile che nessuno si interessi a lui’. La verità è che non abbiamo avuto tanta concorrenza quando lo abbiamo preso. Paolo Maldini ha fatto un grande lavoro, ha parlato con i dirigenti del Real Madrid e con Theo».

Su Kjaer: «Tutti erano un po’ scettici nell’ambiente, sui giornali quando l’abbiamo preso. Eravamo in un momento difficile con il cambio di allenatore. Stefano Pioli era appena arrivato, avevamo anche preso tanti giovani, ma mancava il giocatore di esperienza. Elliott ci ha detto che avevano speso tanto in estate, quindi dovevamo trovare un’operazione low-cost e un giocatore che era pronto a giocare da subito, che parlava la lingua, che era forte tatticamente. Abbiamo valutato tanti nomi di difensori centrali da diversi campionati, ma soprattutto da quello italino, perché ci siamo detti che sarebbe stato più facile l’ambientamento e il nome di Simon Kjaer è arrivato».

Sulle caratteristiche di Kjaer: «Lo conosciamo da anni. Abbiamo analizzato le sue partite con l’Atalanta. Non era male, la sua partita contro la Dinamo Zagabria era stata molto buona. Poi ho preso la lista dei giocatori dell’Atalanta e mi sono detto: “Chi non ha avuto successo all’Atalanta, ma è stato forte altrove? e ho fatto una lista di qualche nome. Lo stesso Ibanez, che è uno dei migliori della Roma, non giocava all’Atalanta. Con Simon eravamo sicuri di avere un giocatore con lo spirito giusto, serio, un combattente, con il fisico che volevamo. Alcuni dicono che sia lento, ma non è vero: lui ha un posizionamento perfetto, corre tanto e tatticamente è buono. Abbiamo fatto anche un lavoro per vedere i suoi problemi fisici, ma non era nulla di grosso. Poi un altro fattore positivo è il costo dell’operazione. Alla fine è costato 2,5 milioni, è poco. Il suo stipendio non posso dirlo, ma non è costoso nel senso che molte squadre possono permettersi economicamente un Kjaer. Abbiamo detto a Simon: ‘abbiamo bisogno di te come leader’. Si è messo subito a disposizione. Lui era pazzo per il Milan, è un tifoso sin da piccolo. È stato sempre un buon giocatore. Mi ricorda Ricardo Carvalho quando l’abbiamo preso al Monaco. Simon ha ancora più grinta, non è qui per scherzare. Dobbiamo dirlo, adesso è uno dei migliori difensori centrale della Serie A, un giocatore molto importante per la squadra. Ok, Ibrahimovic ha cambiato tante cose, ma anche Simon ha dato il proprio contributo, è importante nel progetto».

Su Jens Petter Hauge: «La decisione finale di prenderlo è arrivata con la partita tra il Milan e il Bodo/Glimt. Devo ringraziare l’area ‘dati’, che mi ha parlato di questo giocatore tra maggio e giugno. Eravamo in pieno lockdown. Non potevamo viaggiare. E volevo vedere questo ragazzo dal vivo. Ne ho bisogno, perché volevo vedere la sua capacità ad accelerare, i suoi cambi di ritmi, l’esplosività. Poi, abbiamo ripreso il campionato, vincevamo le partite. I miei ragazzi mi dicevano tante volte “Geoffrey, guarda Hauge…”. Poi, a fine stagione, ho chiesto ai miei scout di analizzare le partite con i video. Tutti mi hanno detto qualcosa di positivo su questo giocatore. Non ho avuto nemmeno un feedback negativo».

Sul colpo di fulmine con Hauge: «Poi è arrivata questa partita. E lì abbiamo visto qualcosa di interessante. Anche i ragazzi dello staff tecnico, i match analysts che avevano preparato la partita contro il Bodo/Glimt per Mister Pioli mi hanno parlato di Jens Petter Hauge. Mi sono detto ‘anche loro mi parlano di lui’. E poi la partita. Paolo Maldini, Ricky Massara e Ivan Gazidis sono stati bravi, perché subito dopo il fischio finale sono andati a parlare con il Bodo/Glimt e il giocatore, dicendo che il Milan lo volesse. Il timing è molto importante, sono stati molto rapidi. E poi, anche il costo del cartellino. Parliamo di un giocatore tra i 3 e i 4 milioni, dovevamo farlo firmare. Nel nostro mestiere si dice così. Era ‘da fare’ questo ragazzo. Abbiamo anche preso informazioni sulla sua mentalità, zero problemi su questo. L’abbiamo preso, gli facciamo fare dei progressi, non mettiamo pressione su di lui. Viene dalla Norvegia, nessuna pressione. Abbiamo dei giocatori che sono più pronti di lui come Rebic, Leao, Calhanogu. Lui deve lavorare e fa già parte della squadra, gioca delle partite. Un dato impressionante è il numero di squadre che ci hanno chiamato subito dopo la firma per avere il giocatore in prestito. Almeno 20 squadre».

Su Leao: «Se vi ricordate, quando noi stavamo andando male con Giampaolo lui aveva fatto delle prestazioni interessanti. Mi ricordo della sua partita contro la Fiorentina. Lui era arrivato in un momento difficile ed è stato lui a distinguersi tra i giocatori. Poi abbiamo cambiato sistema di gioco, si è infortunato, Ibrahimovic è arrivato, Leao è scomparso un po’. L’allenatore gli ha fatto vedere altre cose, doveva giocare sull’ala con nuovi metodi di allenamento e tutto il resto. Oggi è un giocatore molto importante per noi, l’abbiamo visto contro la Roma e contro l’Inter, è in grado di fare delle prestazioni eccezionali».

Sulla scelta di acquistare Leao: «Quando l’abbiamo preso, non l’abbiamo preso soltanto per quello che ha fatto al Lille. Lo conoscevamo ancora di più per quello che ha fatto prima allo Sporting Lisbona. Nel settore giovanile era eccezionale. Nella Youth League aveva giocato contro la Juve ad altissimo livello. Abbiamo evidentemente visto quello che ha fatto al Lille, ma è soprattutto per quello che aveva fatto vedere allo Sporting che l’abbiamo preso. L’ho visto giocare come trequartista allo Sporting, incredibile. Sapevamo quello che lui faceva bene, e quello che aveva bisogno di migliorare. Può ancora migliorare fisicamente, può segnare ancora di più, perché lui può segnare dei gol facilissimi o altri gol da fuoriclasse. Può segnare in futuro anche con la testa, ha il fisico per farlo».

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