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Il finale previsto
Il Milan impatta col Chievo, ma quel che più conta è la conferma, anche al Bentegodi, della regressione generale di una squadra che con Niang e Montolivo titolari era giunta ad inanellare ben 9 risultati utili di fila, portandosi a -6 dal terzo posto, destinato a restare mera suggestione per il terzo anno consecutivo. In realtà i presupposti dell’annata inscenata dai rossoneri si erano visti bene sin dalle primissime battute dell’insediamento di Mihajlovic a Milanello, nel rapporto mai idilliaco tra il patròn e l’ex ct della Serbia, un sergente dall’attitudine non distante da quella di un certo Clarence Seedorf, altra cresta pronunciata e abbassata dal presidente dopo appena poche settimane di permanenza dell’olandese alla guida della squadra, con la classica delegittimazione in corso d’opera.
In estate, nemmeno il tempo di ufficializzare Sinisa, ed ecco comparire la prima incomprensione, sul caso del rinnovo di Philippe Mexes, sostenuto strenuamente dal cav e scaricato dall’allora neo allenatore rossonero. Salvato e risalvato in extremis dalla cessione alla Fiorentina quasi allo scadere del mercato, nel corso della stagione Mexes il campo l’ha visto con il contagocce, sorpassato praticamente da tutti nella gerarchia dei centrali, persino da Rodrigo Ely. A seguire, le ingerenze presidenziali sono aumentate vistosamente, fra intromissioni tattiche volte a convincere tutti della maggior efficienza del 4-3-1-2, e le celebri stoccate sul “bel giuoco”, per arrivare, a febbraio, ad un punto che quasi tutti i fan rossoneri avevano sospettato da tempo, ossia la deposizione indiretta del sergente ad opera di Berlusconi, suggellata dalla dichiarazione in cui l’ex Premier asseriva l’obbligo di Mihajlovic di vincere tutte le gare per guadagnarsi la conferma. Una stilettata ironica ma palesemente strategica, presagio di ciò che verrà formalizzato comunque solo dopo il 21 maggio.