2014
INCHIESTA: Sveglia Serie A, andiamo in Asia!
Negli ultimi giorni sono sempre più insistenti le voci riguardo possibili accordi commerciali ed un’eventuale cessione di quote (non più del 30%) all’imprenditore di Hong Kong, Richard Man Fai Lee. Che dire, era ora! Nonostante l’assenza di stadi di proprietà, che comportano solo spese per i club, la tassazione italiana, che non permette ingaggi troppo onerosi e tutte le conseguenze negative derivanti dalla non disponibilità di fondi, nessuna società italiana ha mai “investito” nel mercato asiatico.
Andiamo a conoscere il mercato asiatico. In oriente, a differenza dell’Europa, vi sono sempre più zone in rapida e continua crescita economica. La crisi ha colpito pochi settori e le persone nel loro piccolo hanno la possibilità, grazie anche ad un costo inferiore della vita, di spendere di più per il calcio. Se consideriamo poi, che, per mancanza di appeal, i vari campionati asiatici non possono essere minimamente paragonati a quelli occidentali, ci manca solamente un dato per “chiudere il cerchio”: sono presenti 900 milioni di appassionati di calcio (di cui molti in cerca di una squadra europea da tifare). Insomma, un mercato che sarebbe da stupidi non sfruttare.
Chi stupido non è. La Premier League lo sa benissimo e sono ormai anni che si affida costantemente al mercato asiatico. Addirittura nel 2008, la federazione inglese si era detta favorevole a far disputare alcune partite di prima fascia proprio in quella parte del mondo. Ma questo trend iniziò molto prima, negli anni in cui sul tetto del mondo vi erano le squadre italiane, quando non era difficile che la Champions League venisse contesa da Milan e Juventus, quando la Premier League veniva etichettata come troppo fisica e senza sostanza. Ormai le posizioni si sono rovesciate e questa situazione non è frutto del caso. Con un piano economico solido e lungimirante, i club inglesi hanno investito sul mercato orientale e ne stanno raccogliendo i frutti. Come? Solo dalla vendita di diritti televisivi in Asia, la Football Association guadagnerà per il triennio 2013-2016 poco più di 1 miliardo di euro. E senza contare tutto ciò che riguarda il merchandising. Prima di paragonare queste cifre con la povera Serie A, bisogna chiedersi come si è arrivati a questa “El Dorado”. Innanzitutto dagli sponsor. Nell’arco di dieci anni si è passati da avere una squadra (Everton nel 2003/04) ad 1/3 di tutta la Premier League con lo sponsor asiatico sulla maglia; Arsenal, Chelsea, Man Utd, Man City e Liverpool disputano costantemente in Asia amichevoli e tournèe di precampionato estivo; il cosiddetto “calcio spezzatino” che occupa il week end, è stato creato proprio in funzione delle televisioni d’estremo oriente. Tanti piccoli accorgimenti, senza stravolgere né il campionato né la federazione, che hanno portato benefici economici. Inoltre, per porre l’accento sulla continua espansione di questo mercato, vi riferiamo un dato importante: dal triennio 2010-2013 vi è stato un incremento dal 55% al 77% di denaro proveniente dall’Asia sui diritti televisivi esteri totali della Premier League. In parole povere, su un ipotetico ricavato di 100, 77 provengono dall’estremo oriente. Cifre incredibili.
La serie A, un paragone imbarazzante. Dati alla mano, confrontare i bilanci del campionato italiano con quello inglese suscita una risata. Ma non si può fare altrimenti. La Serie A guadagna dai diritti televisivi venduti in tutto il mondo per il triennio 2012-2015, 351 milioni di euro contro i 2,5 miliardi di euro della Premier League per le stagioni 2013-2016. Ciò significa che solo gli introiti asiatici in Inghilterra (poco più di 1 miliardo di euro) sono tre volte quelli italiani totali. E come diretta conseguenza non può stupire nemmeno il fatto che la Premier League fatturi il doppio della serie A. Però, la strada sembra essere ancora lunga, tutta in salita e piena di ostacoli. Pochi giorni fa, infatti, sono stati venduti i diritti televisivi della Serie A all’estero per il triennio 2015-2018 alla MP&Silva, società internazionale che si occupa della loro distribuzione nel mondo, per 560 milioni di euro circa. Cifre ancora lontane anni luce da quelle inglesi.
Un Milan asiatico. Se la società rossonera decidesse di puntare sui mercati asiatici, i risultati sarebbero sorprendenti. Per rendere l’idea con un paragone concreto, il Man Utd fatturava nel 2002, 250 milioni di euro annui. Ora ne fattura 434 milioni. Il Milan, con lo stesso margine temporale, è passato da 200 a 210 milioni di euro annui. Considerando l’appeal rossonero in quella parte del mondo, lo stesso obiettivo sarebbe raggiunto probabilmente anche in meno tempo. La tesi si rafforza nel contesto dell’operazione Honda. Il giocatore nipponico, infatti, porta nelle casse rossonere attraverso sponsorizzazioni, pubblicità e vendita di magliette, circa 10 milioni di euro annui. In parole povere, oltre a pagarsi lo stipendio, porta utili alla società. Questo deve far riflettere sule potenzialità di quel mercato.
C’è da dire che se il Milan dovesse investire in questa direzione, non avrebbe risultati “all’inglese” sin da subito. La mancata partecipazione alla Champions League e i deludenti risultati quando ne ha preso parte, influiscono negativamente sul flusso monetario che potrebbe investire le casse della società milanese. Scordiamoci i fatturati di Real Madrid, Bayern Monaco, Chelsea e Man Utd al momento inarrivabili ma andiamo in quella direzione. Il Milan vanta quasi 100 milioni di tifosi e rientra nelle dieci squadre con maggior numero di supporters nel mondo e se riuscisse a instaurarsi nella realtà asiatica, potrebbe portare sulla vetta del mondo, nuovamente, il campionato italiano. Attualmente, la società di via Aldo Rossi 8, ha chiuso il 2013 con una perdita di quasi 16 milioni. Immaginate cosa si potrebbe fare con 200 milioni di euro in più disponibili ogni anno…
Fonte dati Premier League www.sportintelligence.com; www.connectedasia.com
Fonte altri dati Gazzetta.it e Tuttosport.com