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Ambrosini: «Scudetto vinto dal Milan grazie alla consapevolezza, su Maldini…»

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Massimo Ambrosini, ex capitano del Milan, si è raccontato in una lunga intervista rilasciata a Carlo Pellegatti: le sue dichiarazioni

Nella terza puntata del podcast “La storia del Milan raccontata da Carlo Pellegatti”, disponibile su YouTube e su Spotify, Massimo Ambrosini ha dichiarato:

Il 2012 e l’addio dei senatori: «Quei giorni furono emotivamente molto duri. Avevamo capito che in quei giorni avremmo perso una colonna portante di quella squadra lì. Io lì ho avvertito il timore di rimanere in una situazione che non sarebbe più stata quella di prima, la sensazione che poi purtroppo era quasi una certezza, in quel giorno lì ebbe il suo apice».

La partenza di Ibra e Thiago Silva durante l’estate del 2012: «La sensazione era che il vento era cambiato per la squadra e per la società: le necessità erano diverse, le esigenze della società erano di riuscire a monetizzare qualcosa. La percezione di non essere più competitivi come lo eravamo prima, c’era. La consapevolezza di fare 3-4 gradini indietro era delicata».

Sul famigerato gol di Muntari contro la Juventus: «Le certezze non possiamo averle, ma da calciatore l’onda emotiva di una vittoria e la possibilità di allungare il vantaggio avrebbe avuto un peso decisivo non lo so, ma ci avrebbe dato una percentuale totalmente superiore di vincere quel campionato».

Che Milan è stato quello di Boban, Savicevic e Baggio? «L’ho definito anche io un Milan “luna park”, io ero un ragazzino a cui ogni tanto facevano fare il giro della giostra in allenamento, in partita poco (ride, ndr). Avevo la sensazione di essere arrivato in una realtà diversa, non solo dal punto di vista calcistico. Quella squadra lì era composta da uomini clamorosi, erano calciatori e uomini che ogni giorno si sfidavano in allenamento con voglia di migliorarsi. Quando si scendeva in campo avevano una ferocia e una qualità… Eravamo gli Harlem Globetrotters».

Il confronto con lo Scudetto vinto quest’anno: «Ce l’hanno detto, è stato un tema. Secondo me per la parabola che hanno avuto i ragazzi di Pioli questa squadra qui ha avuto ancora più consapevolezza, e l’ha raggiunta con il lavoro di questi anni. Noi invece abbiamo cominciato a renderci conto della nostra forza verso febbraio. Quello è stato un anno un po’ travagliato, in questo invece il Milan ha raccolto i frutti di due anni di lavoro. Poi ho visto le ultime partite dal campo, devo ammettere che le sensazioni che dava San Siro nelle ultime due-tre partite in casa era qualcosa di clamoroso. È stato unico: la volontà e l’energia che aveva la gente, probabilmente frustrata dagli ultimi anni, l’ha trasferita negli spalti. Io vedevo l’espressione della gente, era un desiderio di esplosione che covava da anni. Contro l’Atalanta e le Fiorentina era un’esplosione continua, c’era un’energia positiva che era condivisa anche da Paolo (Maldini, ndr) a bordocampo, che ogni tanto incrociavo prima delle partite. Guardava lo stadio, che era molto più rossonero rispetto ai nostri tempi».

Su De Ketelaere: «È un giocatore interessante, moderno, che però dobbiamo scoprire bene a certi livelli. Viene da un campionato che ha una cultura calcistica votata al lavoro e al sacrificio: potrebbe essere un profilo che potrebbe integrarsi e dare qualcosa. Il Milan lì ha bisogno in quella zona di campo, magari non di uno ma di un paio di elementi. Il belga e Ziyech a me piacciono».

Sul campionato del 2004: «Quella squadra lì era forte, l’anno prima aveva vinto la Champions e aveva un’autostima e una struttura di un certo tipo, già collaudata. La società poi è stata fenomale ad andare a puntellare quella rosa lì. Su Kaká, se devo essere sincero, ho avuto una sensazione diversa rispetto ai miei compagni. Avevo la sensazione che non fosse pronto nei primi allenamenti, poi dopo la prima partita ad Ancora ho pensato che forse mi stavo sbagliando (ride, ndr)».

Sul gol di testa a Roma nel 2004 come quello di Tonali contro la Lazio: un gol scudetto? «Quello di Tonali era arrivato un po’ dopo, il mio era nel periodo di febbraio-marzo. Come importanza sicuramente è stato decisivo, ha dato consapevolezza di poterlo fare. Il mio invece in quel momento aveva dato la certezza che ce l’avremmo fatta».

Nel 2011 arriva Zlatan Ibrahimovic. Cosa ha significato? «La sensazione quando arrivò Ibra era che il vento era cambiato, con la società che voleva tornare a vincere. Ricordo quando venne fuori la notizia e noi chiedemmo conferma ad Allegri di questa possibilità e lui ci disse che era vero. Mi ricordo che stavamo andando a fare allenamento e ci siamo detti: “Se arrivano questi…” (riferito a Ibra e Robinho, ndr). Fu un campionato giocato molto bene, Allegri è stato bravo a mettere tante stelle insieme, fu un campionato vinto stra meritatamente».

Come vedi questo Milan? Cosa manca per un ulteriore salto di qualità? «Secondo me manca qualcosa lì sulla trequarti. Siamo in una fase iniziale del mercato, quindi tutto è in divenire. Se il Milan si sistema in quella parte di campo… Ha una struttura difensiva efficace. Nonostante abbia un gioco offensivo il Milan ha vinto il campionato perché non ha preso gol, solo due nelle ultime dieci. Non ci sarà la paura di aggiungere la qualità a questa rosa».

Su mister Pioli: «È riuscito a trasferire le sue idee con coerenza e con coraggio al gruppo. Anche nei momenti di difficoltà il Milan non ha cambiato modo di essere, non ha cambiato ma ha avuto la capacità di variare qualche linea di gioco ogni tanto; ma secondo me la squadra era riconoscibile, hanno vinto con merito».

Su Maignan e la sua parata su Cabral a San Siro: «Maignan nelle ultime 7 partite ha fatto una parata decisiva a partita. La grandezza è farsi trovare pronti al momento giusto, è un giocatore che secondo me ha cambiato a livello di personalità questa squadra qui. Non che prima con Donnarumma non lo fosse ma questo ragazzo qui è stata una scoperta clamorosa e i complimenti vanno fatti a chi l’ha preso».

Su Maldini dirigente: «È cambiato rispetto al primo anno di lavoro, ha capito tante cose, le dinamiche del lavoro, ha compreso il suo ruolo, cosa fare e quando fare. Per fare quel lavoro lì ci vuole un po’ di esperienza che viene maturata con gli anni. Lui è stato sul pezzo e ha avuto delle intuizioni: Maignan e Theo sono robe sue, oltre a tante altre».

Cosa manca per vincere la Champions League? «È complicato. Ci sono 4-5 top club che hanno possibilità economiche che fanno avere più soluzioni, ti vai a scontrare con realtà che hanno una quantità di talento che, all’interno di una competizione come la Champions, fanno la differenza. Le idee , il coraggio, la personalità e mettici anche un pizzico di fortuna possono accorciare un gap che non può non esserci».

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