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Baresi: «Il Milan la mia seconda famiglia, sui derby e i primi giorni a Milanello…»

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Franco Baresi si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera. Ecco le parole della bandiera rossonera

Franco Baresi si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera. Ecco le parole della bandiera rossonera:

Lei però è una sorta di leggenda, e non solo perché capitano del Milan per 15 anni.
«Che parole grosse. Sono solo uno che è nato nel 1960 a Travagliato, nella campagna del Bresciano, e che ha avuto la fortuna di sentirsi “libero di sognare”. E in effetti ho voluto dare proprio questo titolo alla mia autobiografia, scritta assieme a Federico Tavola. Sono stato fortunato ad ascoltare i miei sogni. E a trovare sulla mia strada persone che mi insegnassero ad ascoltarli».

Lucia, Angelo, Emanuela e, naturalmente, Beppe, mediano dell’Inter, fratello amatissimo ma pur sempre rivale nel derby.
«Lui è arrivato a Milano, all’Inter, prima di me, e quando mi ha preso il Milan, per un periodo iniziale, abbiamo condiviso la casa. Tutto bene fino a quando arrivava la settimana del derby: presto ci saremmo dovuti sfidare e dunque per forza dovevamo essere rivali».

La verità: qualche volta ha evitato mosse troppo violente in campo contro suo fratello?
«La verità?».

Sì, la prego.
«Be’, diciamo che qualche volta il mio piede è stato più leggero quando ha incontrato lui».

Proprio nelle gare dell’oratorio lei venne notato dagli osservatori del Milan. Se lo ricorda l’arrivo a Milanello?
«Eccome. Non mi sembrava vero di vedere da vicino Rivera, Liedholm, Rocco. Ricordo la prima gara in serie A, contro il Verona. In trasferta. Vincemmo e negli spogliatoi mi si avvicinò Nereo, all’epoca direttore tecnico, che mi fece: “Ma t’ha giugà anca ti?!”».

Possiamo dire che il Milan è stata — letteralmente — la sua seconda famiglia?
«Certo. Io ho perso mia madre a tredici anni, mio padre a diciassette. Io nelle cose ho sempre cercato stabilità. Nel lavoro, nello sport, nella famiglia. Lo sa che lo scorso 10 settembre abbiamo raggiunto i trentotto anni di matrimonio con mia moglie? E stiamo insieme da 40».

Lei si definirebbe un uomo di emozioni?
«Molto. Ho pianto tanto nella mia partita d’addio. E il mio è stato un pianto di gioia, perché vedere tutti quei tifosi e quei colleghi che mi festeggiavano è stata un’emozione mai vissuta».

Franco, qual è il suo sogno ricorrente?
«Sogno spesso la prima Champions vinta al Milan. Vede, io ho vissuto tante epoche diverse nella squadra, compresa la retrocessione. Ci sono stati alti e bassi molto profondi e se ancora oggi sono qui, in rossonero, non è perché io mi senta “una bandiera”, ma è perché anche qui ho cercato la stabilità. Ho ragionato per fasi, come si fa nelle famiglie. Ho cercato un equilibrio».

Un ricordo di Arrigo Sacchi?
«Era molto esigente, chiedeva il massimo. Poi, nei ritiri, veniva a controllare se di notte dormivamo e allora, quando lo sentivamo arrivare, scattava il momento “spegni la luce”. Lui ci sgamava puntualmente e allora si metteva a chiacchierare con noi di strategie e di formazioni».

Oggi lei è vicepresidente onorario del Milan, è molto impegnato nella squadra con la quale ha vinto sei scudetti e molto altro. Che cosa fa quando non pensa al calcio?
«Non faccio cose particolari. Leggo, amo le parole crociate, mi piace passeggiare, guardo le partite di basket e soprattutto di tennis».

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