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Cantamessa: «Vi racconto la mia storia. Donnarumma? Milan nel giusto»

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Lunga intervista di Leandro Cantamessa, avvocato del Milan per più di trent’anni che non è stato confermato dal nuovo corso rossonero

L’edizione odierna del Corriere della Sera riporta una lunga intervista a Cantamessa, avvocato del Diavolo per quasi 34 anni.

L’AVVIO«Nel 1984 mi chiamò Ramaccioni per dirmi che l’allora presidente del Milan, Giussi Farina, un signore, e sottolineo signore, di campagna, mi voleva conoscere. Andai all’appuntamento agitato e mi disse che mi sarei dovuto occupare delle vicende del Milan. “Guardi che io non so niente di diritto sportivo” obiettai. “Nessuno conosce niente di diritto sportivo, anche chi pensa di saperne”. Mi sottopose subito una causa nella quale era evidente che il Milan — che si era rifiutato di giocare un’amichevole — aveva torto marcio. Lo feci notare. “I bravi avvocati si misurano nelle cause perse” rispose. Così, iniziò la mia avventura al Milan. In realtà, il mio primo contatto con il Milan risaliva a un paio d’anni prima quando, con il club sotto indagine per la retrocessione in B, il presidente Colombo e Rivera mi convocarono per chiedermi un parere giuridico. Poi Alberto Ledda, avvocato dell’epoca, mi telefonò il giorno stesso informandomi che pure lui era giunto alle medesime conclusioni. Quindi pur affranto informai Colombo che il mio contributo professionale non sarebbe servito e preferivo starne fuori».

L’incontro che ha cambiato la sua vita professionale?

«Il 20 febbraio 1986, era appena avvenuto il nuovo passaggio societario. Andai in sede per consegnare dei documenti: entrai nella sala dei trofei e trovai con mia sorpresa Berlusconi, Galliani, Foscale e l’avvocato Dotti. Il presidente mi chiese “lei chi è?”. “Leandro Cantamessa” risposi. “E sarebbe?”. A quel punto replicai: “Faccio l’avvocato. Vede questa borsa? Contiene una pratica ma idealmente tutti gli incarichi che ricopro per il Milan. Sono a sua disposizione”».

Lo conquistò?

«Mi disse: “ma almeno è milanista?”. “Da pazzi… da tre generazioni”, forse lo stupii. “Caro Foscale, vai con Cantamessa e fagli un contratto di consulenza…”».

Il primo incarico?

«Al Jury d’appel della Uefa. Mi accompagnò Dotti, per verificare che fossi preparato. La causa andò bene e lui esclamò “sei stato omologato”. Io, e a ripensarci mi sento un pirla, ribattei: “l’omologazione è un atto unilaterale. Anch’io devo essere d’accordo…».

Ricorda la notte di Marsiglia?

«Ero in tribuna con Capello e le mogli che a un certo punto sagge ci urlarono: “…cosa ci facciamo ancora qui seduti?”. Andammo negli spogliatoi e Galliani mi chiese cosa ne pensassi: espressi il mio parere legale che a livello disciplinare purtroppo si rivelò corretto. Galliani si lasciò cadere su una panca».

Un pregio di Berlusconi?

«Lealtà e capacità intuitiva».

Difetto?

«Preferisco i suoi pregi».

I rapporti tra Galliani e lei?

«Molto maschili, conditi da litigate anche clamorose. Ma mi ha sempre permesso, pur gridando, di esprimere la mia opinione. Ha una capacità quasi autistica di fare conti a mente con una rapidità incredibile. Ha una visione del numero istantanea ed è molto abile nella comunicazione».

Ha sofferto quando Fassone l’ha informata del mancato rinnovo del contratto?

«Mica tanto, a dire il vero. Chiamiamolo col suo nome: è un licenziamento. Ma me lo aspettavo, è stato logico e armonico che il mio rapporto con questo Milan si concludesse. Capisco Fassone, non mi ha reso felice, credo però che sarei forse potuto essere ancora utile per l’esperienza».

La vicenda più spinosa?

«Gerets: dopo la firma si scoprì che aveva commesso un illecito sportivo. Farina non desiderava avere un giocatore con un precedente simile. Davanti al collegio di disciplina persi la causa vergognosamente. Ma poi, studiando, scoprii che la vertenza si poteva riproporre su basi diverse: la vinsi».

La gioia più grande?

«Milan-Steaua, raro momento di felicità della vita».

I suoi giocatori simbolo?

«Dino Sani e Rivera. Del Milan attuale l’unico fuoriclasse è Suso».

Come si evolverà la Donnarumma story?

«Ho sempre taciuto gli sviluppi della vicenda e proseguo a farlo. Dico solo che il Milan ha ragione».

Da frequentatore della Lega accenda le telecamere del Grande Fratello.

«Una volta uno degli astanti lanciò una bottiglietta d’acqua contro Beretta. Colpì la base dello scranno e per fortuna dell’ex presidente rimbalzò indietro. E quando due dirigenti si scontrarono petto a petto: si sentì flap flap».

In via Rosellini cosa cambierebbe se potesse?

«Con il nuovo statuto le regole sono eccellenti. Il problema è la totale disomogeneità fra le società, ciascuna delle quali persegue comprensibilmente i propri interessi. Porterei il tribunale nazionale federale a Milano e il giudice sportivo a Roma».

La passione della sua vita?

«Il Milan è ancora il mio più grande amore ma la vera travolgente passione che mi ha sempre accompagnato è ridere e far ridere. Non sono una persona seria».

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