Eriksen e Inter, una favola senza il lieto fine
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Eriksen e Inter, una favola senza il lieto fine

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Il giorno del triste addio tra Eriksen e Inter è arrivato di venerdì 17: storia di un amore senza lieto fine

Per gli amanti della cabala, non si può dire che la data dell’addio tra Christian Eriksen e l’Inter sia poco suggestiva. Un anonimo venerdì 17 di metà dicembre segna il più classico dei The End su una favola che avrebbe potuto e dovuto essere decisamente più fortunata.

Una storia, quella tra il centrocampista danese e il Biscione, iniziata in pompa magna nel gennaio di quasi due anni fa. Lo sbarco a Milano del direttore d’orchestra atteso per ridonare luce alla maglia numero 10 nerazzurra, per riscoprire il dolce gusto della qualità dopo un decennio di buio quasi assoluto.

E invece l’impatto non è dei più entusiasmanti, perché il dogmatico Antonio Conte pretende e bacchetta. L’ex Tottenham gioca sulle punte, senza incidere e senza dare l’impressione di riuscire a integrarsi. Lukaku lo sprona, anche a mezzo stampa, lo spogliatoio lo lavora lungamente ai fianchi per aprirne un carattere sin troppo schivo e “timido” calcisticamente.

Dopo un anno intero di patimenti e scarsa integrazione, lo spettro del calciomercato aleggia sempre con maggiore insistenza, suggerendo una separazione consensuale che ormai pareva inevitabile. Ma galeotto fu un derby della Madonnina, con quello spettacolare calcio di punizione, specialità della casa, che eliminò i cugini dalla Coppa Italia.

Da quel momento lo switch, la fiducia in se stesso che rifiorisce e di conseguenza sboccia il rapporto con il tecnico salentino, il quale nei mesi successivi riveste sempre di maggiore importanza un Eriksen ormai titolare ed entrato definitivamente nel cuore dei tifosi interisti. Che a dire la verità non lo avevano mai abbandonato, anzi.

Ma questa non è una favola e purtroppo, talvolta, le storie d’amore non hanno il lieto fine. La serata di terrore durante Danimarca-Finlandia, il sospiro di sollievo per il ritorno alla vita, ma la mazzata di dover dimenticare per sempre di essere un calciatore professionista (quantomeno in Italia). E un triste epilogo che lascerà per l’eternità un enorme rimpianto.

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