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Gabbia si racconta: «Per me è come se non fossi mai andato via, l’esperienza al Villarreal mi ha insegnato questo»

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Matteo Gabbia, difensore del Milan, si è raccontato nel nuovo episodio di Unlocker Room – The Rossoneri Podcast

Le parole di Matteo Gabbia, difensore del Milan, raccontatosi nel nuovo episodio di Unlocker Room – The Rossoneri Podcast:

SOPRANNOME – «Onestamente penso nasca dai social, dove ormai si sviluppano soprannomi simpatici. Avendo Fik e Ruben, altri inglesi, è bello condividerlo in spogliatoio»

SOCIAL – «Se gioco una grande partita, difficilmente mi faccio portare tanto su. Prima soffrivo molto di più se magari non riuscivo a dare quello che volevo: adesso ho capito che quella cosa mi toglieva delle energie importanti. Negli ultimi due anni ho trovato un equilibrio rispetto a questo: non gli do più importanza ma perché non lo guardo praticamente più e di conseguenza lo vivo come una cosa ristretta per i miei amici, esterni e del calcio. Più un divertimento adesso»

STAGIONE QUEST’ANNO E PRESTITO AL VILLARREAL – «E’ stato molto strano. Sapevo di dover andare via questa estate, avevo parlato anche con il mister. All’inizio dell’estate avevo delle possibilità che non mi facevano vivere quell’emozione che volevo sentire. Il giorno in cui siamo partiti per l’America, ho sentito il mio agente che mi diceva di non partire perché era tutto fatto con il Villarreal. Ma eravamo sull’aereo e quindi sono partito. Il mio procuratore ha sentito il direttore Furlani e mancavano ancora delle cose, gli hanno detto che finché non era tutto definito sarei dovuto rimanere giustamente con il Milan. Ho fatto due o tre giorni a Los Angeles fino a che non è stato tutto definito e sono tornato indietro. E’ nata abbastanza velocemente e da subito mi è piaciuta come esperienza, ero voglioso di mettermi in gioco anche in un paese e campionato diverso. E’ stato molto bello, sono stato felice della scelta che ho fatto, di come sono andati i sei mesi e poi di essere tornato ovviamente»

ESPERIENZA IN SPAGNA – «Sicuramente è stato provante, più perchè erano 4 o 5 anni che stavo in una comfort zone personale: per me il Milan è famiglia, è facce che conosco da quando sono piccolo. Cambiare paese, una città nuova e con compagni che non parlano la tua lingua è stato sicuramente provante ma èm stato un qualcosa che mi ha dato tanto: l’impatto è stato molto positivo, c’erano ragazzi positivi e bravi, anche l’allenatore che aveva inciso sul mio acquisto. Poi dipende da come ti poni: ho cercato di farmi conoscere per quello che sono, ho avuto la fortuna che c’era Pepe Reina e anche Raul Albiol che parlava italiano. E’ stato un crescendo: già dopo un paio di settimane è stato tutto più bello, ho trovato casa. Una esperienza che mi ha aperto la testa, ignoravo le difficoltà che potessero esserci da un paese all’altro ma sono stato fortunato a trovare tutto subito»

LEGAME CON IL MILAN – «Per me è come se non fossi più andato via, tante volte sentivo i ragazzi italiani con qui c’era un rapporto quotidiano. Qualche volta anche i ragazzi stranieri. Da quel punto di vista è come non essere mai andato via perché sapevo quello che succedeva, come stavano i ragazzi, le partite le vedevo tutte quando c’era la possibilità. Sono sempre legato al Milan anche perché sono tifoso e quindi sono contento di vederlo. Come vivevo le partite da tifoso? Sicuramente in maniera differente, con più trasporto, come se fossi un infortunato a casa… Adesso vedo le partite del Villarreal quando gioca ma non ho le stesse sensazioni di quando vedevo quelle del Milan»

RENDIMENTO – «Penso che non sia cambiato più di tanto. Ho fatto un lavoro su di me, su quelli che erano difetti o su cosa perdevo delle energie. Penso di aver migliorato la cura di alcuni particolari nel lavoro: non è sempre lavorare di più ma forse per me era lavorare meglio ma meno. Alcune volte quando non giochi vuoi fare vedere che ci sei, vuoi allenarti di più per essere pronto ma non sempre questa è una cosa positiva. Sono riuscito a trovare una comfort zone più sicura per me dal punto di vista di allenamenti e di organizzazione della settimana: in Spagna ho giocato di più e non è una cosa banale, ho avuto più continuità. Sono tornato qui e ho avuto più continuità, giocare con costanza ti aiuta»

PARTITA CON IL BARCELLONA – «Una partita bellissima, mi ha emozionato: abbiamo perso 4-3 ma con rimonte e contro-rimonte. Avevamo dato tutto quello che avevamo. Loro sono una squadra obiettivamente forte. Individualità incredibile e giovani che sono molto bravi: loro li lanciano con una semplicità… Mi sentivo vecchio perché un 2007 ha otto anni meno di me. Yamal è qualcosa di raro da incontrare per la qualità tecnica ma non sono io a doverlo dire. Gavi era già più conosciuto e sapevo cosa mi aspettava durante la partita. Lewandowski? Molto forte, anche quando ti sembra di averlo sotto controllo ti può fare una giocata dove ti ruba il tempo o dove ti va al tiro: ha fatto un gol che sembrava fortunato ma lui era lì»

AFFRONTARE UN ATTACCANTE – «Non sono un tipo di difensore a cui piace andare a fare trash talking: penso a fare le cose utili per la mia squadra. Poi ci sono in una partita situazioni in cui ci si parla e ci si risponde, ma sono cose limitate a determinate situazioni. Non fa parte di me»

ANEDDOTO SCUDETTO – «Ne ho uno particolare con Zlatan, era la settimana prima della partita con il Sassuolo: eravamo lì lì per vincere ma non era ancora scritto, c’era un po’ di scaramanzia tipica italiana. A me piace collezionare delle magliette particolari, di avversari bravi. Mi sono detto quella di Ibra gliela chiedo, non sapevamo se avremmo vinto o se lui si sarebbe ritirato: lui mi ha scritto ‘Grazie mille per lo scudetto’. Io mi sono detto, speriamo sennò questa maglia qua..»

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