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Ibrahimovic a 23: l’intervista integrale da Milanello con Ambrosini

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Ibrahimovic intervistato da Massimo Ambrosini. L’attaccante del Milan ha parlato del passato, presente e futuro del Milan e non solo

Ibrahimovic e Massimo Ambrosini hanno dato vita ad una lunga e interessante intervista andata in onda venerdì sera nel corso del programma “23” prodotto da Sky Sport. Ecco le parole del centravanti svedese:

Ibra intervistato da Ambrosini

L’ARRIVO AL MILAN DI DIECI ANNI FA – «A Milanello mi sento a casa, quando sono qua faccio tutte le cose che si devono fare ma non sento la fretta di andarmene perché mi sento già a casa. Ero qui 10 anni fa con voi, grandi giocatori. Il mio primo giorno? Ricordo che ho fatto il record nei test di sforzo, senza riscaldamento. Ricordo che la settimana prima avevamo giocato contro Barcellona-Milan e settimana dopo sono arrivato qui. Tutti mi dicevate “Siamo venuti solo per portarti a Milano”. Galliani era carico, è venuto a casa mia a Barcellona e ha tolto la giacca dicendomi “Non me ne vado senza di te da qui”. A Barcellona non c’era chiarezza, ancora oggi capisco che problemi ci fossero».

LA CITTA’ DI MILANO – «Conoscevo Milano perché ero stato all’Inter, la città mi piaceva. Poi se è il Milan a chiamarti è chiaro che sei stimolato. Avevamo una grande squadra, speravo di vincere qualcosa. Non speravo, sapevo già. Dieci anni fa la situazione non era come adesso, oggi è un’altra sfida. Amo le sfide impossibili, mi caricano molto più di giocare in una squadra già Top. Lì la squadra continua, in questo Milan devi insegnarla».

COME IBRA E’ CAMBIATO – «Dieci anni fa andavo a 2000, ero un altro tipo di giocatore. Quando sono in campo penso di più e cerco di sprecare meno energie. Dieci anni fa se non mi arrivava la palla perfetta mi arrabbiavo perché c’erano certi giocatori, la qualità era altissima, oggi accetto più l’errore. Dieci anni fa c’erano personaggi che avevano più “status” e personalità, c’erano altri ego con cui dovevo competere. Oggi se vedo che qualcuno non ce la fa ci vado piano. Ai miei compagni oggi dico “Devi essere quello che sei, non ti posso cambiare”, da giovane sei più Rock n’Roll oggi devo essere più bilanciato. Accetto un passaggio sbagliato ma non un allenamento in cui non si da il 100%, non accetterò mai chi non da tutto in partita o a Milanello. Se non ti rilassi in allenamento non ti rilassi neanche in partita, questa è la mia filosofia. Qui i ragazzi hanno preso bene il mio arrivo perché mi hanno detto “Fai vedere la strada e noi ti seguiamo”». 

PARTITELLE – «Con voi (Ambrosini e il suo Milan ndr) avevate già vinto tutto e se io mi arrabbiavo in allenamento era per farvi uscire l’ultima adrenalina. C’era gente che non sapeva se continuare a giocare o meno. Seedorf era uno che rispondeva alle provocazioni e mi piaceva perché mi caricava. Quante volte ti ho battuto qui? (ad Ambrosini ndr), vincevo il 90-95% delle partite in allenamento e quelle erano delle battaglie».

FISICO – «Con l’età ciò che conta è mantenersi fisicamente. Credo di stare meglio di prima, sono più grosso muscolarmente, lo dico anche io. Più anni passano e più devi cambiare il tuo stile di gioco».  

MILAN DI OGGI – «Abbiamo un mister che chiede di giocare in un certo modo e mi piace. Ha un buon equilibrio, mi mette bene in campo e ha trovato il modo di farmi rendere al massimo e di aiutare la squadra nel modo migliore. E’ normale che voglio giocare sempre certe volte gli dico “magari meglio se riposo” , come ad esempio in Europa League, ma lui mi risponde “No giochi ma ti tengo in campo 45 minuti” e lo rispetto. Questa situazione mi piace. La squadra ha tanta fame e tanta voglia, stiamo facendo bene. Non ci sono sogni e obiettivi, giochiamo una partita alla voglia. Io ce li ho i miei obiettivi ma la squadra deve pensare di fare il meglio possibile. Ragioniamo davvero una partita alla volta. La squadra è molto giovane e non ha l’esperienza per fissarsi degli obiettivi troppo alti. L’importante è non rilassarsi mai ed è qui che entro in gioco io». 

PRESSIONE E OBIETTIVI – «Questo Milan non è come Inter e Juventus di oggi, questa squadra è molto giovane a cui manca ancora qualcosa però sono cresciuti tanto. Una cosa è giocare le partite e dare il massimo, l’altra è vincere per forza. Questa squadra soffre la pressione del risultato e l’abbiamo visto nelle qualificazioni di Europa League, sono ragazzi di esperienza ma non sono abituati a quel tipo di partite. Per questo pensiamo a giocare al nostro massimo. Questa è una squadra che può essere in lotta per lo Scudetto? Penso di sì, dopo 8 mesi qui penso di sì». 

LAST DANCE – «Non mi piacciono gli “Yes man”, sembra che sono un boss e un presidente. Io sono me stesso e si discute, non vanno bene le persone che dicono sempre sì e non esprimono le loro opinioni. Il confronto è importante. Ho visto “Last dance” e mi piace perché anche di me hanno che non era facile giocare con me, poi quando è uscito “Last dance” ho capito che è così che si deve avere una mentalità vincente. Non voglio dire di essere Micheal Jordan ma come lui ho la professionalità del vincente. Quando giochi al Milan devi vincere altrimenti chiamano un altro. Quando fai un passaggio giusto per me è normale, è quando sbagli che devi sentirti in difetto. Se a 40 anni sono ancora qua e ho vinto quello che ho vinto c’è un motivo, ed è questo. Quando sei a questo livello o mangi o vieni mangiato e io ho scelto di mangiare».

L’ESPERIENZA IN AMERICA – «Cosa fare quando smetto? Ho due figli, due vite in un’altra vita. Anche a loro metto pressione e disciplina perché devono capire come funzionano le cose. Fare l’allenatore? Non penso, deve essere molto stressante soprattutto quando sei stato un calciatore di alto livello. Finché reggerò fisicamente ce la faccio, se Totti fosse stato bene fisicamente avrebbe continuato perché a quest’età la qualità non manca ma devi farcela atleticamente e fisicamente. Alcuni giocatori non accettano di chiudere per troppo ego, io sono realistico. Prima di andare in America dopo l’infortunio ho detto a Mourinho “Non mi convocare più, non sarò più quello di prima. Sono andato in America per ricominciare da zero e lì mi sono sentito di nuovo vivo e volevo provare a tornare in Europa».

LA CONFERMA DI PIOLI – «Quando Pioli alla fine della scorsa stagione mi ha detto “Che vuoi fare?” io ho risposto “Basta, non continuo”. Pensavo che non avrei retto un altro anno come questi sei mesi. Pioli quel giorno mi disse “Ok ti rispetto” ma l’indomani mi ha richiamato e mi ha detto “Ieri te l’ho data vinta troppo facilmente, devi restare perché con te qui cambiamo tutto” e così sono rimasto. La sfida è bella e non voglio avere rimpianti e perciò ho detto a Mino di voler restare qui e di chiudere il rinnovo con il Milan. Il contratto non era importante». 

MILANO E IL FUTURO – «Quando ero allo United ho pensato di smettere perché ero al Top. Pensai di entrare in un nuovo capitolo della vita con la mia famiglia. Questo lo pensai prima dell’infortunio, poi mi sono detto che avrei dovuto continuare perché senza il calcio io chi sono. Sono pronto a ritirarmi? No perché sto bene. Se ci vediamo il prossimo anno? Qui o da un’altra parte, se non dovessi portare i risultati non resterei. Mi manca la famiglia, questa è la prima volta che vado in un club senza portare anche loro con me. L’obiettivo sportivo però mi fa sentire meno la mancanza. Questo periodo con il Covid è stato complicato, Milano è ancora meglio di 10 anni fa ma poi il Covid ha reso tutto più difficile. Non ero mai stato al Duomo in otto anni? L’importante era che il Duomo vedesse me e non io il Duomo». 

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