HANNO DETTO
Ibrahimovic: «Orgoglioso di essere un giocatore del Milan. Sul futuro…»
Ibrahimovic: «Orgoglioso di essere un giocatore del Milan. Futuro? Non penso di smettere». Le parole dello svedese
Zlatan Ibrahimovic, attaccante del Milan, ha parlato in esclusiva ai microfoni della Gazzetta dello Sport. Di seguito le sue dichiarazioni.
TEORICO DELLA FATICA – «Sono un workaholic, matto di lavoro. Più lavoro, più mi alleno, più mi sento vivo, giovane. Il lavoro torna. Qualcuno lo chiama sacrificio, per me è opportunità. L’allenamento allunga la vita»
MENTALITÀ DA ESEMPIO – «Un esempio lo diventi per come sei, per quello che fai. Io ho fatto di tutto per arrivare, partendo da poco. Con la disciplina e il rispetto. Se ci sono riuscito io, possono farlo anche gli altri. Se posso insegnare questo alle nuove generazioni, sono contento. Per questo provo a essere me stesso, sempre. E a dare indietro più possibile»
SPORT COME INCLUSIONE – «Se posso aiutare i ragazzi che hanno meno possibilità, lo faccio col cuore, non con il cervello»
SPORT NELLA SUA ADOLESCENZA – «Lo sport mi ha aiutato tanto (e Ibra ha aiutato lo sport). Mi ha dato fiducia. Un’identità. Sono cresciuto a Rosengård, un sobborgo di Malöe. Quando ho iniziato a giocare, non mi sentivo benvenuto. Loro erano svedesi, biondi, io figlio di immigrati col naso brutto, i capelli neri, i denti storti … Con lo sport mi sono sentito qualcuno. È importante che ognuno trovi un posto dove sentirsi importante, per se stesso»
COSA DICE AI BULLI – «Sono gente debole, preferisco concentrarmi su quelli che subiscono il bullismo per dire loro che c’è aiuto. Che altri ci sono passati e sono riusciti a trovare forza, a vedere la luce. Se riesco a far sentire qualcuno di quei ragazzi come me, ho aiutato un po’»
I GENITORI – «I miei erano separati: abitavo da papà e andavo da mamma a mangiare, perché papà lavorava e non aveva tempo. Come quando finisci la benzina e vai a farla … io avevo i miei posti dove mi ricaricavo, ma in realtà facevo le cose da solo. E quando chiedevo aiuto in giro, mi rispondevano che non si erano trovati nella mia situazione. Ho capito che dovevo trovare la strada da solo, sbagliare, correggermi e superarmi. Ancora oggi è così»
CHI GLI HA INSEGNATO DI PIÙ NEL CALCIO – «Ogni allenatore che ho avuto mi ha insegnato qualcosa. Anche Pep Guardiola? Sì, sì in un modo o nell’altro. Perché non è sempre tutto glamour, positivo, wow. Devi passare anche il buio per crescere. Se non sei abituato, quando arriva vai in confusione. Io ho passato il buio e la luce, per essere chi sono e dove sono. Per questo dico grazie a tutti gli allenatori. E a Mino Raiola: c’è stato sempre nel calcio e fuori. Un modello. Andavo da lui per sfogarmi, per avere risposte, litigavamo, ci abbracciavamo poi, si faceva tutto. E alla mia famiglia. Poi a Zlatan, secondo Ibrahimovic, terzo Ibra. Non è un segreto: Ibra è prima, seconda e terza persona»
FATICA DELL’ALLENAMENTO – «Sempre, io devo sempre portare risultati. Quest’anno si giocava per 4 trofei, zero trofei alla fine. Non parliamo di insuccesso, di fallimento, ma non è andata come volevo. Lavori 11 mesi perché arrivi qualcosa, se non succede impari, cresci lo stesso, ma alla fine vuoi una ricompensa: il premio è il trofeo, non lo stipendio»
CONDIZIONI FISICHE – «Sto bene, sto bene. Ho lavorato tanto, ho forzato tanto, non solo quest’anno anche l’anno scorso. Ma quando ero k.o., la squadra aveva bisogno. E quando hai fatto una cosa per tutta la vita, quando sai cosa devi fare ma non riesci a farlo, allora … continui, perché non ti dai pace, io non mi do pace. Non ho trovato l’equilibrio. Quando arriva tutto, pam, subito arriva niente. Questo pensiero mi gira nella testa. La mia testa è troppo forte, mi sento Superman ogni volta che rientro, ma devo avere equilibrio. Ho forzato così tanto e non mi è tornato niente sinora. Perché se ti torna un po’ dai ancora di più, sennò dai dai dai, alla fine sei vuoto»
FUTURO – «No, no, non sono uno che molla. Ma ci deve essere anche gioia in quello che fai, non posso non avere pace in quello che so fare da numero uno, giocare a calcio. Però non siamo ancora là. Penso che ho ancora da dare. Se penso di smettere? Non credo. Se devo continuare a giocare? Penso di sì. Ma devo trovare equilibrio come nella vita: se non hai serenità, stabilità, sei una bomba, le bombe esplodono»
CONTATTI CON GALLIANI – «Mi chiama tutti i giorni da tre anni e mi dice sempre che Monza è bella, che c’è una bella natura, che sul tavolo c’è già il contratto. Ma non siamo là: io sono un giocatore del Milan e sono orgoglioso di esserlo. A una certa età non c’è più l’ego, non hai bisogno di dimostrare. Sono qua per aiutare il Milan, non come adesso. Voglio essere in campo, lì posso aiutare molto di più»
IN CHAMPIONS – «Leao c’è, up and down come capita a tutti i giocatori. Bisogna trovare il livello massimo e stabilità per portare risultati. E ognuno lo troverà, col tempo. Quest’anno troppi up and down. Ma quest’anno giochiamo da campioni e tutti vogliono battere il Milan, questa squadra è la prima volta che gioca da campione (la squadra, non il club). Ed è il secondo anno in Champions: arrivare in semifinale è un grande step per noi. Cosa manca? Tempo per arrivare dove vogliamo arrivare»
INTER SUPERIORE – «L’Inter è la più forte in Italia, sulla carta. Hanno molta più esperienza e giocatori che erano più pronti del Milan. Che non è una scusa, non ci sono scuse. Perché poi quando metti in campo 11 contro 11, da lì si gioca. E loro hanno fatto meglio di noi»
FINALE DI CHAMPIONS – «Non posso tifare per nessuno, perché gioco nel Milan e l’Inter è in finale. Ho giocato nel Manchester United, il City è in finale. Spero sia una bella partita»
SE CONTINUA NEL MILAN – «Cosa succede nel club non lo so. Io so che sto bene al Milan, Milano è casa mia. Del mio contratto non so nulla, l’anno scorso ho detto a Paolo: fai te. E mi è arrivato un foglio da firmare. Non so cosa c’è dentro, forse c’è un altro anno. A me basta sapere di essere un giocatore del Milan e allora so cosa devo fare. Il resto non mi importa. M’importa solo di tornare in campo, altrimenti la gioia diminuisce. È come se uno va al lavoro e non ha un ufficio. Sono due anni che non ho ufficio. Ho ancora voglia, ma serve equilibrio»