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Inzaghi: «Atene, ricordi di una notte indimenticabile. Berlusconi mi disse…»
Lunga intervista concessa a La Gazzetta dello Sport da Filippo Inzaghi: da Atene ad Atene, i ricordi di una notte magica
Dopo dieci anni dall’ultima volta, il Milan torna nella capitale greca per disputare la quarta giornata di Europa League. Una partita crocevia per Montella, una partita che non può non evocare ricordi dolcissimi per i tifosi rossoneri perché ‘solamente’ 10 anni fa, il Milan raggiungeva il punto più alto della sua storia recente con la settima Champions League.
LE PAROLE DI INZAGHI – Protagonista di quella serata, manco a dirlo, fu Filippo Inzaghi, autore di una doppietta che spostò l’ago della bilancia a favore del Milan contro un Liverpool che, dopo il gol di Kuyt all’89’, pregustava già una nuova Instanbul. Proprio Superpippo, contattato da La Gazzetta dello Sport, descrive così le emozioni della serata:
«Quando penso all’Olimpico penso a qualcosa di straordinario. Io non ci sono più tornato, anzi non sono proprio più tornato ad Atene e mi auguro di poterlo fare, ovviamente da allenatore. Sarebbe una grande emozione. Mi auguro che l’Olimpico sia di buon auspicio per il Milan e che da lì possa ripartire per tornare in alto».
DIECI ANNI DOPO – «L’habitat naturale del Milan è la Champions, ma il presente impone di ripartire e se il presente si chiama Europa League occorre affrontarla a testa alta senza fare gli schizzinosi. E poi ha deciso tutto la classifica, no? Tra l’altro questa Europa League mi fa fare un sogno».
SOGNO – «Una finale Milan-Lazio, che coinvolgerebbe i miei affetti familiari e calcistici: mio fratello e il Milan. Sarebbe il massimo».
MILAN DA FINALE? – «Sì perché hanno un organico importante e quindi occorre quantomeno provarci. Anche se quando si cambia molto comunque serve tempo».
RICORDI – «Mi è rimasto impresso il campo, davvero bello. E il tunnel che porta al campo. Non finisce mai, ci vuole una vita per sbucare fuori. E poi gli spogliatoi, grandissimi. Ma credo che una finale di Champions amplifichi tutte le sensazioni… In realtà non mi piacciono gli impianti con la pista di atletica, mi piace sentire la gente addosso, ma per me è e resterà lo stadio più bello del mondo».
EMOZIONI – «L’invasione di campo di mio papà e mio fratello, il taglio della torta con Berlusconi, la coppa che ho portato dagli spogliatoi al pullman e… anche il rammarico per non averci dormito insieme (ride, ndr). Beh, dormire in realtà è una parola grossa. La prima notte ho dovuto prendere un sonnifero e nelle successive dieci, giuro che non sto scherzando, non ho proprio dormito. Mi svegliavo di continuo pensando sempre di sognare. Poi vedevo sul comodino la targa vinta come miglior giocatore della partita e capivo che era tutto vero. A quella targa tengo da morire: tempo fa mi hanno rubato in casa a Milano ed è stata la prima cosa che ho cercato. Potevano prendermi tutto, ma non quella. Per fortuna non l’avevano presa».
BALLOTTAGGIO CON GILARDINO – «Beh, in realtà il giorno prima Ancelotti mi prese da parte e mi disse: “Non ho dubbi, giochi tu”. Però non stavo bene, ero mezzo stirato e quindi avevo addosso una pressione enorme. Pensavo: se nella prima ora di gioco non riesco a combinare nulla, mi aspetta una sostituzione inevitabile».
CHIAMATA SPECIALE – «Stavo pranzando, quando mi chiamarono al telefono. Era Berlusconi. Non ricordo con esattezza se mi pronosticò che avrei fatto due gol, o se mi fece promettere che li avrei fatti. So solo che successe. Pazzesco».
DUE GOL – «Il primo è stata fortuna. Il secondo credo sia l’emblema di tutta una carriera. Non ho mai esultato così, mai provato un’emozione del genere, sono stato a un passo dal piangere, ma non potevo perché bisognava ancora giocare».
MONTELLA RISCHIA – «Con Vincenzo ci siamo giocati la classifica marcatori nel 1996-97, io giocavo a Bergamo e lui alla Samp. Alla fine la spuntai io. Siamo anche stati compagni in Nazionale, gli auguro il meglio».
RIMPIANTI AL MILAN – «No, non ne ho. Semplicemente, occorre trovarsi al posto giusto nel momento giusto e mio fratello alla Lazio ne è la prova migliore. Al Milan ho gestito un gruppo complicato in un momento difficile e questo mi ha fatto capire che posso fare questo mestiere».