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Kalulu: «La quarantena mi faceva paura. Ibra? Mi incoraggiava»

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Kalulu: «La quarantena mi faceva paura. Ibra? Mi incoraggiava». Le parole del difensore ai microfoni di Vista

Pierre Kalulu si racconta a Vista nel format City Stade. Le dichiarazioni del difensore del Milan.

INIZI – «Ho iniziato la mia carriera come difensore, quindi sono stato sempre abituato a giocare in quella posizione. Dal Saint Priest, dove avevamo già una formazione solida, sono andato all’OL. Ma non ero molto convinto di andare là, non volevo uscire dalla mia comfort zone per una serie di motivi. È stato comunque un piacere giocare con loro, eravamo determinati a vincere. Qualche anno fa non ero il più atteso, ma ero un buon giocatore: giocavo delle buone partite e altre non così buone. Sono sempre stato un ragazzo con la mentalità del ‘So di cosa sono capace.»

DECISIONI – «Sei tu che firmi il foglio, nessuno ti tiene la mano e ti convince. La decisione finale spetta a te. Se sbagli è una tua decisione. Qui è la stessa cosa. Durante gli anni, il mio obiettivo è stato quello di raggiungere traguardi sempre più importanti.»

SAN SIRO – «Qui siamo nel nostro posto, dove ti senti a casa, dove succedono le magie, le discussioni e gli avvenimenti dell’ultimo minuto.»

ARRIVO AL MILAN – «Mi ero convinto che non era importante dove stessi andando. Tra il mio futuro professionale e vitale – a causa del Covid – ero bloccato da un grande dilemma, davvero. C’era una quarantena che mi faceva abbastanza paura. Si fermò ogni tipo di attività. Vi dico che anche quando facevo la visita medica, mi chiedevo cosa ci stessi facendo lì in quel momento. Ma appena hai i documenti davanti e firmi, non ci pensi più perché fa già parte del passato. E prima di firmare al Milan non avevo mai firmato un contratto da professionista.»

DEBUTTO – «La mia prima volta è arrivata tardi. È avvenuta in trasferta contro lo Sparta (Praga, ndr) in Europa League, non ho giocato per 4 mesi. Avevo un piano di adattamento fisico e tattico di qualche mese: è un gioco molto diverso dalla Francia, dovevo capire. L’allenatore riteneva che ci fossero giocatori migliori di me in quel momento e c’era un ragazzo che giocava meglio. Lì ho deciso di stringere i denti, e l’ultima partita in Europa League l’ho giocata da centrocampista di sinistra. Durante l’allenamento in settimana il mister mi chiese: ‘Hai mai giocato come centrocampista o ala destra?’ Ho risposto ‘Sì, nessun problema’, ma avrei risposto a prescindere così anche se mi avesse chiesto di giocare al centro (ride, ndr). A Lione ci allenavamo per essere i migliori in ogni ruolo, anche a centrocampo. Quando non giochi non hai diritto ad essere felice, sei tu che devi inseguire i tuoi obiettivi. Io fatico e sudo. Al mio primo match mi ero talmente impegnato che non sentivo la pressione. Ora correrei come allora, mangerei anche il granello più piccolo. La prima partita è andata benissimo e l’allenatore si è accorto di quanto corressi e della mia forza. Ma ovviamente c’erano delle cose da migliorare.»

IBRAHIMOVIC – «Mentre ero nel mio periodo dei quattro mesi di adattamento, lui era spesso con me. Mi incoraggiava molto, mi dava una spinta, anche chiedendomi informazioni sul mio background. E poi ha notato che lavoravo sodo, mi ha incoraggiato. Gli è piaciuto il mio atteggiamento.»

MOTTO – «Quello che posso dire ai giovani di oggi è: non sprecate il vostro tempo, domani non ci sarà più. Il treno non aspetta nessuno. I rimpianti fanno molto male, più della fatica. Anche fuori dal mondo del calcio. Provate.»

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