HANNO DETTO
Kessie: «La vita mi ha fatto crescere in fretta. Con Pioli all’inizio non fu facile»
Kessie si racconta sulle colonne di Sportweek, il settimanale di Gazzetta dello sport, una lunga intervista con tanto di lui e tanto Milan
Kessie si racconta sulle colonne di Sportweek, il settimanale di Gazzetta dello sport, una lunga intervista con tanto di lui e tanto Milan.
IL PRESIDENTE- «Mi piace. È un nomignolo dato per scherzare, ma finché me lo dicono e nel frattempo lavoriamo duro, va bene».
COME È SUCCESSO- «È successo che un giorno, a Milanello, parcheggio la macchina nel posto riservato a Gazidis. Uno della security, uno che chiamiamo Rambo, mi fa:“Franck, ma perché hai messo la macchina lì”? E io: “Lasciala, da oggi sono il nuovo capo del Milan”.E Ugo Allevi dell’ufficio stampa, che aveva assistito alla scena, dice: “Perché lui è il presidente!”».
LO FA ANCORA- «No, no, altrimenti prendo la multa» (ride).
PIOLI LO CHIAMA COSÌ- «Quando vinciamo, sì».
E IBRA- «Anche lui, dipende. Se siamo in gioia (testuale), sì».
PIÙ IMPORTANTE DIO O IL PRESIDENTE- (ride) «Lo sai, tu?».
UN LEADER PER MALDINI- «Se ho qualcosa da dire a un compagno non lo faccio davanti a tutti perché non so come lui possa reagire. Lo prendo da parte e gli spiego. In partita è più difficile, perciò può capitare che cacciunurlo. Se qualcuno cammina, gli faccio: “Dài, corriamo, che dobbiamo vincere!”».
IN LINEA CON BENNACER- «Parliamo entrambi il francese. Mi succede pure con gli altri di esprimermi nella stessa lingua; solo dopo mi viene in mente che non mi capiscono. Allora mi sforzo di trovare la parola corrispondente in italiano, ma ormai l’avversario è andato…».
L’ULTIMA PAROLA A CHI SPETTA- «Parlano soprattutto i più anziani, Ibra e Kjaer. Loro e il capitano, Romagnoli».
ANCHE PER PARLARE CON PIOLI- «Lo stesso, loro tre».
UN LEADER RISERVATO- «Nelle rappresentative giovanili della mia nazionale, la Costa d’Avorio, sono sempre stato il capitano. Sono abituato a essere il primo a mettere la faccia, in campo e fuori».
PRESIDENTE ANCHE IN CASA- «In Italia comandano le donne, no? E adesso noi viviamo in Italia…» (ride).
RAPPORTO CON I GIOVANI- «Parlo con tutti, a cominciare dai più giovani: Hauge, Daniel Maldini…Anche con quelli della Primavera che ogni tanto si
allenano con noi, come Mionic».
MOLTO LEGATO A CALHANOGLU– «Siamo arrivati insieme nella stessa estate di quattro anni fa. Io vado a casa sua, lui viene da me. Ci assomigliamo come carattere. Quando abbiamo il giorno libero stiamo quasi sempre assieme: andavamo al ristorante quando si poteva, a fare shopping al Duomo… Ma frequento anche Bennacer, Meite, Leao, Saelemaekers…».
RAPPORTO CON LEAO- «Gli parlo. Lui ha quasi tutto. È molto forte, ha qualità, dribbling, a volte fa gol… Gli dico di restare concentrato, di mantenere sempre lo stesso livello di attenzione in partita».
CEDERE IL NUMERO COME A BONUCCI- «Lui mi spiegò che era importante, io parlai con Leonardo, con mister Montella, pure con Gattuso, che ancora allenava la Primavera… Bonucci era più grande, aveva più esperienza.
Ma oggi non so se lo rifarei».
OURAGAHIO CITTÀ NATALE- «Piccola. La mia famiglia si trasferì presto per andare ad Abidjan, la capitale, dove per me c’era tutto per iniziare a giocare a calcio».
INFLUENZA DAL PADRE CALCIATORE- (sorride) «Direi di sì. Ho seguito la sua strada, anche se sono arrivato più lontano, perché papà non ha mai giocato in Europa. Anche il mio ruolo è più o meno il suo. All’inizio mi è venuto naturale per sentirmi vicino a lui, anche se poi ho giocato anche in difesa».
PERDUTO AD UNDICI ANNI- «Se lo è portato via una malattia. La sua morte mi ha fatto crescere in fretta, anche se ero il più piccolo di sette figli, quattro maschi e tre femmine. Sono rimasto coi miei fratelli e mia madre, il calcio mi ha aiutato a sopportare il dolore. Il dolore non passa mai, però la vita va avanti.
PASSIONE PER SHEVA- «Sì. Il Milan era anche la mia squadra alla Playstation. Era facile tifare per loro: a quei tempi vincevano tutto. Quando ho indossato per la prima volta la maglia rossonera non ci credevo. Pensai che avrei dovuto sudare per quella maglia, perché del Milan io ero anche tifoso. È quello che cerco di fare a ogni partita. Giocare la Champions col Milan sarebbe grandioso».
SCADENZA CONTRATTO- «Ora sono concentrato sul lavoro che dobbiamo finire e che deve portarci in Champions. A fine stagione parleremo col club».
ALL’ATALANTA- «Mi videro ad Abu Dhabi, al Mondiale Under 17. Mandarono una lettera al mio agente, George Atangana, e mi fecero arrivare in Italia a gennaio. Sbarcai alla Malpensa. Nevicava e io non avevo mai visto la neve. Dissi aGeorge:iotorno indietro, mi sa che in queste condizioni non riesco a giocare. E lui: vedrai che passa. Feci tre o quattro allenamenti, poi le visite mediche. Mi misero nel convitto della squadra dove stavano gli altri
ragazzi delle giovanili. Rimasi lì sette-otto mesi, dopo andai in prestito a Cesena,in B.Quando tornai presi un appartamento
tutto per me».
CON PIOLI DIFFICOLTÀ INIZIALI- «Quando arriva un nuovo allenatore porta le sue idee e ti chiede cose nuove rispetto a prima. È normale che all’inizio fai fatica. Però abbiamo parlato e parlato, io ho lavorato tanto su di me per capire come dargli quello che voleva. E alla fine ci sono riuscito»
COSA MANCA AL MILAN- «La continuità nei risultati. Le grandi squadre non si accontentano mai, vogliono vincere tutte le partite. Questa deve essere la nostra mentalità. Sappiamo che non è possibile vincere sempre, ma dobbiamo provarci. Ma siamo già una grande squadra».
SULLA FEDE- «Sono cattolico. Ma credo anche nell’uomo, in quello che fa ogni giorno, con pazienza e convinzione».