HANNO DETTO
Leonardo: «Passaggio all’Inter? Non mi aspettavo così tante polemiche»
Leonardo ha parlato in diretta sul palco del Festival dello Sport. Le parole dell’ex Milan, ora direttore sportivo del PSG
Il Festival dello Sport, quest’oggi, ha avuto il direttore sportivo del Psg Leonardo tra i suoi ospiti. Ecco le sue dichiarazioni:
MILAN – «E’ stato difficile smettere di giocare. Ho avuto un calo prima fisico. Non avevo il fisico di Maldini per giocare fino a 40 anni. Sono stato penalizzato in quello. Il Milan mi ha cambiato sicuramente le prospettive post carriera. Il rapporto con loro è stato bellissimo. Il mio passaggio è stato strano, non ne sono stato un simbolo, ma sono restato nel cuore. Sono stato lì quattro anni, poi dopo sono tornato e ho rifatto tre mesi. Lì Galliani mi chiese di fare il suo assistente e mi ha cambiato la vita. Giocare, fare il dirigente e allenare la stessa squadra è stato straordinario. E’ finita con un po’ di incomprensioni, ma è stato bellissimo. L’Italia mi ha dato molto, il Milan mi ha portato ad alti livelli».
SCUDETTO 1999 – «Nessuno se lo aspettava. Erano stati anni difficili i precedenti con i ritorni di Sacchi e Capello. Un biennio complicato, coinciso con l’apertura del mercato a livello europeo. Non era facile trasmettere una filosofia societaria così esigente a giocatori che andavano e venivano. I giocatori si sentivano piccoli, era complicato da loro esigere un livello alto. Zaccheroni ricompose la squadra e lo spirito e inaspettatamente ci trovammo alle ultime giornate in lotta per lo scudetto. E’ stato meraviglioso, vinto per un punto. Ricordo che rischiai di non giocare il derby. Giocai dopo aver preso una capocciata da Vierchowood e poi feci doppietta. Due gol in un derby li aveva fatti l’ultima volta Paolo Rossi quindi anni prima».
FONDAZIONE MILAN – «A Milano non ho vissuto solo il calcio come giocatore. Milano per me è tutto. E’ stato il mio lavoro per sei mesi contribuire a costruire un reparto pediatrico con più accessi in Lombardia. La mia vita adulta, anche dopo aver smesso, è stata vissuta in Italia. Un’esperienza globale sotto più aspetti di vita».
ALLENATORE – «La stagione iniziò male. Era la mia prima esperienza, ma non ne avevo tanta voglia per una serie di motivi. Era un momento di transizione, forse serviva un’altra persona che capisse quel preciso momento. Per farla breve: giocammo una gara in casa con la Roma. Perdevamo 1-0, spostai gli attaccanti a disposizione, avendo solo due mediani ma adattati. Da lì partì l’idea di fare qualcosa di diverso. La partita dopo giocammo in casa del Real. In aereo con Galliani mi guardò e mi chiese come avremmo giocato. Mi disse “non sarebbe male eh’” senza aggiungere altro. Lo guardai e gli dissi “giochiamo così”. Andammo con il 4-2-4 e vincemmo 3-2. Andammo sotto per un errore di Dida, poi rimontammo con un gol di Pirlo e una doppietta di Pato. Da lì, fino a quasi fine stagione, ci siamo goduti una squadra che gioiva di giocare».
RAPPORTO CON I GIORNALISTI – «Non sono cambiato tanto. Non è che non ho rapporto, ma penso di avere la distanza giusta. Quello che mi piace è avere libertà, se devi parlare male di me non è che non mi chiami più. Ho forse esasperato questo concetto e ho cercato poi di rispettare questo lavoro che per il sistema è molto importante. Ho sempre cercato la distanza giusta che poi è stata interpretata da alcuni come voglia di non parlare. Con gli anni la gente capisce come sei e il punto di vista cambia».
LITIGI CON BERLUSCONI – «Per 13 anni sono stato nel cuore del Milan, ero visto come allenatore della società. Il passato non cambiava, così come il rapporto con i giocatori. Forse in quel momento eravamo incompatibili, ma per lui non era un momento facile. Sapevo quanto potesse essere difficile la sua vita oltre al Milan. Io ho capito quel momento e oggi, guardandolo a distanza di anni, lo capisco ancora meglio. Quello che ha fatto lui è stata una cosa talmente enorme che è normale avere sentimenti contrastanti. Rispetto il passato e penso lo faccia anche lui. Forse in quel momento sono stato testardo, ma pensavo che per il Milan quelle decisioni fossero le migliori in quel determinato momento».
GALLIANI – «Lì sono stato molto tempo, sono stato me stesso a differenza di altre parti. Difficile scollegare Berlusconi da Galliani, di cui ho una stima incredibile. Penso che lui possa fare tutto, così che abbia una visione completa di tutto. Oggi mi ritrovo in situazioni in cui mi tornano in mente gli anni a stretto contatto con lui. Lo ammiro tanto, per me è stato come un professore all’Università Milan».
INTER – «Non pensavo ci sarebbero state tante polemiche. Andare via dal Milan è stato pesante per me. Quando andai all’Inter erano sei mesi che la vita rossonera era finita. In quel momento ero allenatore dopo essere stato dirigente. Moratti cambiò tutto, ma non solo lui. Lo conoscevo da tempo, avevo un rapporto con la sua famiglia per via della Fondazione, lo incontravo spesso. Il suo modo di essere è talmente penetrante che ti porta a stimarlo. Quando mi chiamò mi sembrò stranissimo, ma pensai due cose: se avessi detto di no sarebbe stato come morire, non potevo dire no ad una squadra ce aveva appena vinto la Champions e ad un presidente che sentivo spesso. Sapevo che andavo verso qualcosa di complicato, ma non mi aspettavo a questi livelli. L’ho presa come una specie di stima che ha provocato un sentimento negativo. Mi rendo conto possa succedere, ma prima era successa una cosa simile a Baggio e Ronaldo e non mi aspettavo di causare questo malcontento».
CONTESTAZIONI – «Le prendevo come un modo per esprimere disappunto. Quello che mi colpì fu il clima allo stadio durante il derby. Fu una situazione surreale. Poi ci fu la partita, era una finalina contro gente con cui avevo un rapporto stretto. Lo dissi ai giocatori che mi dispiaceva per quell’atmosfera. Pato segnò dopo tre minuti, poi successe di tutto e di più. Ma è tutto un grande apprendimento».
ADDIO INTER – «Ricevetti una chiamata dalla dirigenza del Psg, per spiegarmi il loro progetto. Moratti lo seppe subito. Ero in Sardegna e mi arrivavano chiamate a ripetizione. Moratti mi spinse ad andare a vedere e io seppi al momento della riunione che volevano la disponibilità a lavorare con loro. Raccontai tutto al presidente e mi chiese cosa volessi. Risposi che mi sentivo più dirigente e lui capii e rispose che avrebbe accettato qualsiasi mia decisione. Fu molto aperto mentalmente e da lì accettai tornando nelle vesti di dirigente».
RITORNO AL MILAN – «Era un momento di transizione. Tornai dopo aver gettato le basi del progetto Psg e la curiosità mi stuzzicò. Arrivò una chiamata da un’agenzia per parlare del progetto con un fondo che voleva cominciare un progetto sostenibile mantenendo il Milan ad alti livelli. Ma il progetto era perso. Feci una riunione con l’agenzia e poi con Elliott. Rimasi stimolato, dicendo tutto quello che pensavo al mio primo colloquio di lavoro. Era il giorno del famoso pagamento che non arrivò. Il Milan aveva bisogno di una persona come Maldini. Io sono una persona che lavora 24 ore al giorno, ma non sono un simbolo del club a differenza di Paolo. Ero stimolato di lavorare con lui. Ha una visione sportiva e non eccezionale, conosce tutto della società dalla A alla Z. Fu difficile mettere insieme quell’assetto dirigenziale. Era un puzzle che doveva prendere forma, ma non era facile. Discutevamo continuamente per il bene della situazione. Forse non ero la persona più indicata e forse sbagliando avrei dovuto capirlo prima. Maldini invece era perfetto perchè capii bene la situazione, mettendosi in una posizione in cui io non sarei stato capace di mettermi».
DONNARUMMA – «Mai contattato prima di giugno, solo dopo l’annuncio del Milan che non avrebbe rinnovato. L’idea di portarlo da noi è nata solo dopo. Era libero, abbiamo parlato ed è successo quello che è successo. Ma non abbiamo mai lavorato per costringerlo ad andarsene, ha deciso lui».
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