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Lippi: «Da bambino tifavo Milan. Mio padre odiava la Juventus»

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Marcello Lippi racconta della sua passione per il Milan da bambino e dell’odio che il padre riponeva nei confronti della Juventus

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Marcello Lippi racconta di quando da bambino il suo cuore ara a tinte rossonere: «Da bambino tifavo Milan. Abitavo in pineta, lì si allenavano Noletti, Trebbi, Liberalato. Rompevamo sempre le scatole».

SUL PADRE ANTI-JUVENTINO – «Andava al bar per ‘Tutto il calcio…’ e diventava rosso che dovevano dargli un cognacchino. Era un vecchio socialista, contro il potere. E la Juve era il potere. Sono andato a salutarlo sulla tomba: ‘Papà, so che la Juve ti stava sulle palle, ma abbi pazienza: io vado’. Il rapporto con lui? Me le faceva vincere tutte. Dopo mia sorella, e un maschietto nato morto, arrivo io. Allora mica sapevi il sesso: quando sono nato è corso in strada urlando ‘è maschio, è maschio’. Quando mi ha licenziato il Cesena, nel ’91, sono andato da lui: era giallastro in viso e l’ho portato dal medico. Bilirubina. Un mese dopo è morto tenendomi per mano: non avrebbe potuto se fossi stato con la squadra. Mai preso uno schiaffo. No, uno sì. Lavoravo nella nostra pasticceria, avevo 15 o 16 anni. C’era una dipendente, ci siamo ritrovati soli e siamo finiti sui sacchi di farina. Lui entra e picchia: ‘Sul lavoro mai!’. Una bella famiglia, non benestante, ma papà ha cambiato mille lavori per farci star bene, e mamma sarta ci cuciva i vestiti alla moda».

CALCIO ITALIANO – «Come si guarisce? Si pensava che con tanti stranieri fosse finita, no? Invece nascono sempre giovani, da Chiesa a Zaniolo, come Totti e Del Piero. C’è la casualità, ma il lavoro sui giovani è decisivo. Sono stati momenti difficili, ma vincere sempre non è bello. Il meglio lo dai quando dici ‘ti faccio vedere’: le grandi vittorie vengono dai momenti negativi».

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