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Maldini, alla vigilia dei cinquant’anni esprime preoccupazione per il nuovo Milan

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Paolo Maldini ha raccontato la sua storia alla vigilia del cinquantesimo, preoccupazione per il nuovo Milan

Paolo Maldini domani festeggerà il suo cinquantesimo compleanno, quale occasione migliore per ricordare le fasi sportive più importanti della propria vita, costellata da tanti successi planetari e da squadre leggendarie che oggi evocano ricordi decisamente malinconici. Queste le parole dello storico capitano alla Gazzetta dello Sport: «Oggi sono un ex atleta, un marito, un papà, un uomo felice. Ho avuto solo due maglie, quella rossonera e quella azzurra. E la scelta, quella vera, non la fai da bambino, ma poco alla volta comprendendo ad esempio che quella squadra ha i tuoi stessi obiettivi».

UNA BANDIERA- «Non ho mai preso in considerazione l’idea di lasciare il Milan e mai la società ha pensato di vendermi. Essere una bandiera? Significa avere responsabilità in più e arriva un momento in cui sei pronto a prenderle. Anche se non sei tu a decidere di diventare una bandiera. Da ragazzo io cercavo di guardare il più possibile e di parlare il meno possibile. A un certo punto, però, capii che era giunto il momento di prendere delle responsabilità. E allora cambia anche la percezione degli altri nei tuoi confronti». 

IL MIGLIOR MILAN- «Il primo di Sacchi, il ‘92-93 di Capello e il 2002-03 di Ancelotti. C’era tantissima qualità, anche in panchina. Però l’emozione maggiore fu il giorno del mio esordio: sul pullman verso lo stadio mi chiedevo ‘ma io qui ci posso stare?’. Non avrei mai pensato di entrare. Poi accadde. Il campo era brutto, il primo pallone che toccai fu un retropassaggio a Terraneo. A livello fisico sono arrivato al top nel del ‘91-92 e nel ‘93-94. Ma scelgo il Maldini del 2002-03. Io sono stato un esteta perché me l’ha insegnato papà. Ho sempre provato a fare la partita perfetta, ma è impossibile. Ti ci puoi avvicinare, ma solo se giochi in posizione centrale come nel 2002-03 e non sulla fascia. Quell’anno disputai 19 partite di Champions, tutte. E molte le giocai bene». 

IL MILAN DI OGGI- «Da tifoso sono preoccupato. Non credo che l’Uefa ce l’abbia col Milan, anzi credo che vorrebbe un Milan forte. Poi vedremo gli sviluppi. Sono timido, ho sempre pensato che finita la partita avevo il diritto di godermi la vita e la famiglia. Mi manca l’arrivo allo stadio, la tensione pre-gara, quando ti schieri a centrocampo. Momenti bellissimi. Ho tanti amici nel calcio ma ho la fortuna di non aver bisogno di lavorare e quindi di poter selezionare. A Barbara Berlusconi, però, avevo detto sì: non è saltata per mia volontà. Ho detto di no alla proprietà attuale. Con la Nazionale avrei fatto il team manager al Mondiale 2014, ma poi non mi chiamarono più. Dissi no al Chelsea perché avevo appena smesso e non era chiaro il mio ruolo».

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