2014
Milan e politica del finto risparmio
L’ideologia guida del mercato cui la dirigenza del Milan ultimamente ci ha abituato, purtroppo senza grossi risultati, è noto essere quella degli investimenti su nomi altisonanti in parabola discendente, che nonostante l’ingannevole etichetta “parametro zero” svenano le casse della società a causa di ingaggi faraonici, e non giovano nemmeno ai risultati sportivi del club, guarda a caso in continuo declino. Per non andare troppo lontano nel tempo, solo l’anno scorso Kakà veniva acquistato facendo leva sui buoni rapporti tra le dirigenze milanista e madrilena nonché sul sentimento nostalgico verso un ex fuoriclasse mai dimenticato dalla sempre riconoscente piazza rossonera, ma che se poi andiamo a giudicare obiettivamente ha dato ben poco alla squadra rispetto ai costi per mantenerlo: 7 gol e un giocatore che a fine stagione il Milan ha congedato senza tanti rimpianti.
Il riscontro più recente di questa pratica promossa dai piani più alti della società di via Aldo Rossi si chiama Fernando Torres, un giocatore che già al Chelsea si era sì messo in luce, ma per la vistosa involuzione tecnica, e che a Milano ha solo confermato il regresso iniziato a Londra. Ulteriore inghippo della consolidata routine di tenersi in casa il “blasonato bistrattato” è l’ineludibile onere dell’allenatore di turno di mettere in campo questi spacca-finanze il più possibile, fino a giustificarne la sensatezza del loro acquisto, molte volte anche a scapito di chi in quanto a valore tecnico non ne è inferiore, e che messo alla prova una sola volta, sia pure in amichevole, risponde presente, come accaduto ieri sera a Pazzini in occasione del Trofeo Berlusconi. E il paradosso di questa logica di condurre affari è che nonostante il fine non dichiarato ma deducibile del Milan sia il risparmio, tuttavia questo scopo viene perseguito in maniera quantomeno opinabile, lasciando poco spazio a chi, come il Pazzini di turno non ha magari un nome di richiamo internazionale ma può offrire alla causa rossonera un contributo pari, se non persino superiore a quello di un Torres, a costi senz’altro più ristretti sul piano degli emolumenti.
Un pubblico rossonero ostaggio di una proprietà che prova con ogni mezzo a persuaderlo dell’alta competitività della squadra e stanco dei soliti proclami societari d’inizio stagione puntualmente disattesi dal campo. In virtù di ciò i dirigenti del Milan, in passato campioni assoluti di pragmatismo, dovrebbero interrogarsi sul senso di determinate operazioni di mercato che l’occhio del tifoso un pò esperto ha imparato a leggere e che stanno avendo riscontri negativi anche sulle entrate del club, con piazzamenti che non bilanciano il patrimonio che si spende per il monte stipendi e campagne abbonamenti di anno in anno sempre meno proficue; e chissà quante annate ancora si dovrà attendere perché in via Aldo Rossi se ne accorgano.