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Milan, il derby ti ha aperto gli occhi: la verità su Gattuso
Milan-Inter è stato un derby intenso, ma a spuntarla sono stati i nerazzurri. Le scuse di Gattuso e il capitolo giocatori: ecco la verità
Nell’arco di una stagione (e quindi di un campionato) le partite non hanno mai lo stesso peso. Con questo siamo tutti d’accordo. Ci sono momenti particolari, per diversi motivi, in cui alcune gare assumono l’importanza di tutte le altre sommate insieme: il derby di ieri sera per il Milan rappresentava proprio questo, un’occasione d’oro da non fallire per nessun motivo. Vincendo i rossoneri avrebbero messo una concreta ipoteca sul discorso Champions nonché sul terzo posto. La realtà però ha purtroppo raccontato una storia ben diversa e a vincere è stata l’Inter, con tutto quello che ne consegue (sorpasso in classifica e Champions di nuovo in discussione). A mente fredda e soprattutto lucida è opportuno fare qualche analisi e trarre anche qualche conclusione.
GATTUSO PUNTA IL DITO – Nel post partita di ieri sera infatti Gattuso ha esplicitamente ammesso una cosa preoccupante, ovvero che questo Milan non può fare la pressione alta, non può condurre la partita, ma per caratteristiche dei giocatori può solamente aspettare compatto e giocare di ripartenze. La domanda sorge quindi spontanea: ha veramente ragione? Abbiamo sempre conosciuto un Gattuso “mourinhano”, un allenatore che difende ad ogni costo i propri giocatori e si assume sempre e comunque le responsabilità di ogni insuccesso. Questa volta però le sue parole sanno di amara constatazione: come se nel momento più delicato improvvisamente la responsabilità venga scaricata tutta sulla squadra e su chi va in campo. Sia chiaro: è difficile stabilire con certezza dove siano le colpe principali, soprattutto quando bisogna scegliere così nettamente tra tecnico e interpreti. La verità, probabilmente, sta nel mezzo.
UN ALLENATORE SENZA SOLUZIONI? – Le lacune tattiche di Gattuso sono infatti evidenti: checché ne dica il tecnico calabrese infatti non è la prima volta che il Milan viene surclassato in un appuntamento così decisivo (come il derby di ieri sera). A preoccupare più di tutto è la totale mancanza di innovazione del mister rossonero, che durante questa stagione non sembra mai essere riuscito ad apportare nessuna modifica degna di nota al sistema tattico del Diavolo, apparso ormai da troppo tempo monotono e prevedibile. Se i rossoneri vengono sorpresi e messi in crisi da una posizione inedita di Vecino (bravo Spalletti) allora qualcosa vuol dire che non funziona: quante volte abbiamo assistito ad una strategia tattica così vincente a parti invertite? Questo Milan sa, purtroppo, recitare un unico copione: quello dell’attesa in copertura e della ripartenza in contropiede. Quando ciò si verifica è inevitabile che le responsabilità vengano addossate in primo luogo all’allenatore.
I LIMITI DELLA ROSA – Ma completiamo il discorso. Come anticipato infatti la colpa non pende solo da un estremo. A discolpa del tecnico ci sono alcuni evidenti limiti nel pacchetto dei giocatori rossoneri. La squadra è più volte apparsa prigioniera della filosofia di gioco imposta dal tecnico, quasi come un’etichetta fastidiosa che ormai non riesce più ad essere rimossa, un tatuaggio indelebile. Tatticamente parlando parecchi interpreti sono poco duttili: Suso offre un’unica, noiosa e prevedibile, soluzione, Calhanoglu idem, il centrocampo muscolare di Kessie e Bakayoko rallenta esponenzialmente la manovra, ma se si prova ad inserire Biglia crolla improvvisamente l’equilibrio difensivo: insomma, la stabilità di questa squadra sembra veramente appesa ad un filo. In aggiunta a tutto ciò è chiaramente riscontrabile un palese stato generale di immaturità nella rosa del Diavolo: il Milan infatti ieri sera si è confermato una squadra giovanissima e in quanto tale ampiamente ingenua.
A dominare l’animo di diversi giocatori infatti è stata l’irrazionalità: quella voglia di strafare che non porta a nulla, quella foga completamente scollegata dal cervello. Basta pensare a Conti, che entra in campo con un approccio aggressivo e rischia di lasciare il Milan in dieci in un momento cruciale della gara, passando per Kessie, che mette in scena una vera e propria sceneggiata pietosa al momento della sostituzione, concludendo con Castillejo, l’emblema di un Milan dominato più dalla frenesia che dalla lucidità. Poi è sicuramente facile trovare un capro espiatorio, non ci sentiamo ora di farlo. L’amara constatazione però è che questo Milan non è ancora pronto per stare tra le grandi: non lo è l’allenatore e non lo sono i giocatori.