HANNO DETTO
Moncada si racconta: «Quando giocavo ero un Gattuso. Su Leao non c’erano dubbi, il mondo dello scouting e sul futuro al Milan…»
Il Direttore dell’Area Tecnica del Milan Moncada si è raccontato a Milan TV: tutte le parole
Geoffrey Moncada si è raccontato a Milan TV. Dall’approccio al calcio al lavoro dello scout ma anche la descrizione dei talenti che ha visto crescere e del suo possibile futuro in rossonero, ecco tutte le sue parole.
SQUADRE CHE SEGUE – «Mi piace molto il calcio latino, mi piace molto il calcio italiano perché in quel periodo c’era Zinedine Zidane che era importante per noi francesi. Il Milan ha avuto tanti giocatori francesi come Desailly o anche Weah che era passato dal calcio francese. E poi anche Spagna e Portogallo».
COME SI E’ AVVICINATO AL CALCIO – «Ho avuto un nonno veramente pazzo di calcio e mi ha fatto vedere tante partite. E ho cominciato a capire i giocatori, la tattica ecc. Sono nato a St. Tropez, ma sono andato subito a Cannes, Nizza e Monaco, una zona importante in Francia».
PRIMI CONTATTI CON IL CALCIO – «Era una partita del Monaco, ho iniziato a vedere la squadra campione con Trezeguet, Marco Simone, Giuly… Ho visto una partita e subito ho capito che era il percorso lavorativo che volevo fare in futuro. Mio padre mi ha sempre portato a vedere partite a Monaco e Marsiglia e ho cominciato a seguire e diventare pazzo per il calcio».
PRIMI RICORDI DEL MILAN – «Il Milan ha avuto tanti giocatori francesi e le tv andavano sulla tv pubblica, si potevano vedere le partite di Champions League. C’erano le partite tra Paris Saint-Germain e Milan e tra Monaco e Milan. E’ così che ho conosciuto il Milan e San Siro, ho visto i tifosi e questa bella maglia. E ho visto che era una squadra molto forte, tutti parlano bene del Milan».
IN CHE RUOLO GIOCAVA A CALCIO? – «Ero un Gattuso. Molto cattivo, non ero alto ma ero molto cattivo in pressing. Sono nato nell’86’ e il calcio francese ha cominciato a diventare molto più forte. Non ero male, ma non ero forte e ho visto che non avevo il profilo giusto per giocare. Mi è piaciuto più il mondo del calcio che essere giocatore. Mi piaceva il coach, il direttore sportivo, il presidente perché era difficile da fare, ho sempre guardato questo tipo di ruolo».
SULLA FAMIGLIA – «Sono molto vicino ai miei genitori. E’ mio padre che mi ha portato a vedere le partite e mi ha lasciato libertà sul calcio. E’ un gendarme, un carabiniere, ho avuto una cultura molto militare. E poi mi ha madre mi ha sempre lasciato fare quello che volevo. Mi hanno sempre detto di fare le cose che mi piacciono e andare fino alla fine. Mi hanno lasciato provare, fare esperienze, viaggiare».
LE TAPPE DELLA SUA CARRIERA – «Ho studiato management, era interessante perché lavoravo in gruppo ma mi mancava qualcosa dell’aspetto sportivo. Poi sono andato a trovare un’azienda di calcio e c’era il lavoro di video profiling, video sui giocatori e sulle squadre: lavoro tattico e di scouting».
ESPERIENZA AL MONACO – «Ho mandato una mail e aspettato perché era il mio club. Il direttore sportivo mi ha chiamato perché il mister, Claudio Ranieri, aveva bisogno di un match analyst. Sono andato a Montecarlo e ho fatto un meeting, poi è andato tutto molto veloce. Se ci credevo? No no, però quando il momento è giusto sai che devi andare. La squadra era in Serie B, c’era un fondo russo arrivato che ha cambiato tutto. Il mister, Ranieri, aveva una mentalità italiana, voleva fare tante analisi e ha chiesto un match analyst. Sono arrivato in ufficio al Monaco ma non c’era nulla, era tutto da creare. Per me era interessante e difficile, ho avuto subito un rapporto con il mister, lo staff e lo spogliatoio. Questo mi ha aiutato tanto a capire le loro necessità e a imparare il codice dello spogliatoio».
RAPPORTO CON IL MONACO – «Sono businessmen prima di tutto, avevano dato una linea di giocatori da creare e vendere. Ogni anno chiedevano di prendere dieci giocatori e venderne altrettanti. Penso che lo scouting trading sia iniziato così. Perché hanno capito subito che il club era troppo piccolo per tenere giocatori, era molto più interessante fare scouting su giocatori francesi e stranieri e creare un laboratorio».
SU PECINI – «Lui era più scout che direttore. Ha cominciato a fare questo lavoro come direttore al Monaco, gli piace vedere giocatori live e in video. Non è uno che parla tanto, ma spiega bene le cose. Il rapporto era molto professionale, aveva bisogno di uno scouting coordinator, qualcuno che organizzi il dipartimento scouting. E’ un lavoro molto interessante, dovevamo cominciare e Riccardo mi ha dato questa opportunità senza pressioni. Ero da solo per fare lavoro tattico con Ranieri e coordinare lo scouting, la mattina lavoravo con il mister e i giocatori, il pomeriggio scouting. Era un lavoro quotidiano senza riposo, molto intenso e interessante».
IL LAVORO DI VIDEO ANALISI – «L’analisi dell’avversario è diventato molto importante. Ogni settimana c’erano almeno tre meeting con la squadra per analizzare la squadra avversaria, le fasi, i calci d’angolo, i giocatori più forti… Si lavorava più sugli avversari che sullo scouting».
I VIAGGI PER LO SCOUTING – «In settimana ero in ufficio per organizzare e parlare con procuratori e direttore sportivo. Il venerdì sera c’è una partita nel campionato belga e vado lì, il sabato pomeriggio c’è una partita, la sera anche, la domenica anche. Tornavo il lunedì. Quando viaggi puoi conoscere altre persone che lavorano sul territorio: ho conosciuto tanti direttori sportivi, scout, giornalisti che ti lasciano informazioni. Ho visto subito che la cosa importante del vedere i giocatori è il 10%, ma puoi capire tante cose sulla famiglia, il procuratore che ti lascia informazioni… Lavoro video in settimana, ma nel weekend era importante andare».
RAPPORTO CON I GIOCATORI – «Era una novità la video analisi e c’erano tanti giocatori stranieri, parlavi un mix di lingue. Tutti i giocatori hanno visto che sono arrivato con umiltà a far vedere cose che si potevano sviluppare per diventare più forti. Ho avuto la fortuna di avere giocatori come Toulalan, Abidal, Falcao, James Rodriguez che dopo la partita mi chiedevano di vedere azioni, prestazioni, prossimi avversari…».
LE MIGLIORI SCOPERTE – «C’era Tiémoué Bakayoko, Thomas Lemar, Benjamin Mendy, Djibril Sidibé, Valére Germain… Tanti francesi che erano qua. Siamo fieri come reparto scouting, perché questi giocatori sono arrivati a giocare in Champions League, vincere un campionato, giocare una semifinale contro la Juventus. Era bello vedere questo gruppo arrivare da tre anni di crescita per vincere il campionato. Giocatori francesi, ma anche stranieri: Fabinho, Bernardo Silva, Youri Tielemans, Sofyan Diop. Giocano ancora in grandi club. Lemar, Martial… Vediamo la crescita dei giocatori, quando imparano di più».
GIOCATORI CHE SI SONO RIVELATI OTTIMI – «Un bell’esempio è Ismael Bennacer che gioca con noi al Milan. Ha iniziato in un piccolo club, l’Arles-Avignon, vicino a Monaco, e siamo andati a vederlo tante volte. A Pecini era piaciuto tanto, l’abbiamo seguito ma è andato subito in un grande club come l’Arsenal e non ha giocato. Normale in Premier League, è più difficile . Poi è arrivato in Italia, è cresciuto tanto ed è diventato molto forte. E’ un esempio: dobbiamo lasciare sempre un po’ di tempo ai ragazzi e fare step».
CHIAMATA DEL MILAN – «Era l’estate in cui Elliott è arrivato e ha preso il club. Mi hanno chiamato per fare il capo scout, ho fatto tre meeting e sono arrivato a dicembre, ho lavorato tre mesi con il Monaco pensando al Milan. La scelte per me era già fatta, ho dovuto parlare con loro e spiegare e hanno capito, ma non era facile. Quando il Milan ti chiama e c’era ancora tutto da fare, era tutto molto interessante».
PASSAGGIO DAL MONACO AL MILAN – «Sul livello di lavoro è molto diverso. C’è molta più pressione qua, una tifoseria più importante. In Italia c’è sempre passione, tutti parlano di calcio. A Monaco nessuno parla di calcio, si parla di macchine e ristoranti. Abbiamo visto subito che dovevamo fare le cose bene, trovare i giocatori giusti. Creare il processo di lavoro».
IL PROCESSO DI LAVORO E LA STRUTTURA SCOUTING – «La maggior parte sono qua in Italia, è importante avere un po’ di scout stranieri che ti danno un’altra visione e non possiamo viaggiare dappertutto, non abbiamo sempre tempo. Oggi come direttore tecnico facciamo più meeting e abbiamo tutti i report sul database. Quando abbiamo fatto tutto il lavoro video e scouting live, io parlo direttamente con Pioli e lo staff, diciamo: “Questo terzino destro, sinistro, centrale è interessante, cosa pensi…”. C’è subito rapporto e abbiamo fatto così in estate. Abbiamo lavorato su un profilo di giocatori, devono essere fisicamente forti, veloci, potenti. Era il tipo di giocatori che vogliamo fare. Poi dipende dal mercato, da come possiamo sviluppare la squadra, dalle soluzioni, dal budget, da tante cose. Però è importante lavorare con lo staff e il mister, facciamo la stessa cosa e vogliamo avere la stessa squadra».
L’APPROCCIO CON I GIOCATORI: COME SI CONVINCONO A VENIRE AL MILAN? – «Dovete sapere che c’è una concorrenza incredibile adesso. Siamo più o meno sugli stessi giocatori. Io penso che il minimo è andare a vedere quattro volte live, due in casa e due in trasferta. Dobbiamo avere un materiale importante di dati sugli infortuni, informazioni sul giocatore, la mentalità, la famiglia… Tutto il pacchetto per capire il giocatore. Quando abbiamo queste informazioni io vado a vedere la partita live, io posso parlare anche di tattica ma ora i giocatori vogliono conoscere la vita a Milano. Se un club ha una grande città io posso vendere un bel progetto: non c’è solo il calcio, ci sono altre cose importanti. Io sono contento perché il messaggio passa sempre e loro capiscono bene».
OLTRE ALL’ASPETTO TECNICO, COSA SI GUARDA IN UN GIOCATORE? – «E’ importante parlare di questa situazione. I dati ti aiutano a trovare giocatori che non conosciamo, ma è più importante andare dal vivo perché si vedono tante cose: velocità, cambio ritmo, forza… Dobbiamo avere un bel profilo, fisicamente deve correre tanto, deve essere molto solido. Questo mi piace, poi come mi parla: se mi parla di Milan, se parla di lui. Mi piace capire queste cose, perché prendiamo un ragazzo che va in uno spogliatoio di 25 giocatori e dobbiamo creare un mix, una cultura tutti insieme. Io dico sempre che il club è molto più importante di lui, la cosa importante è il Milan e non lui. E vedi subito se un giocatore ti dice che è una star: non vogliamo una squadra di profili diversi, vogliamo creare un gruppo».
LEAO VISTO NELLE GIOVANILI DELLO SPORTING – «Ai tempi ero scout del Monaco e avevo preparato un planning sul Portogallo. A Lisbona c’era la partita del campionato Primavera dello Sporting. Ai tempi non c’erano video e dati sui giocatori, dovevamo andare sul campo a vedere giocatori così. Ho visto un ragazzo con la numero 10, alto, veloce e tecnico. Il famoso Rafael Leao. Era una partita contro il Belenenses e ho visto subito un giocatore con un talento incredibile. Poi l’abbiamo seguito in campionato e nazionale ma non ha fatto sempre bene. Era difficile da seguire bene. La cosa più importante per me alla fine dell’academy è quando vanno a giocare in Youth League: quando un giocatore fa bene lì, subito possiamo dire che farà carriera. Leao ha fatto troppo bene in Youth League, era su un altro pianeta. Tutto il mondo scouting l’ha visto e ha detto: “Sarà un giocatore forte”. E adesso gioca bene, sono contento perché è un ragazzo che è cresciuto».
SU MILANELLO – «Io faccio la mattina gli allenamenti per parlare con il mister e lo staff, è importante stare vicino e capire di cosa hanno bisogno. La cosa che è importante per me è che conosco i giocatori, perché abbiamo preso questi giocatori su due-tre anni, è facile per me parlare con loro per capire come stanno, parlare un po’ della famiglia, della salute e della partita. Vogliamo sempre capire cosa possiamo fare meglio. Sono sempre aperto con loro, per capire le cose che possiamo sviluppare: a Milanello sulla tattica, con il mister… Per quello è importante parlare insieme: abbiamo tempo solo di parlare tra di noi, dobbiamo parlare insieme per capire le situazioni da sviluppare. E anche con Giorgio Furlani che è sempre con me, mi aiuta tanto e mi lascia tanto spazio. Anche lui è molto aperto con loro e vuole sapere le cose, gli piace capire se il giocatore si sente bene a Milano e a Milanello, se si sente bene fisicamente. E’ importante per lui e per noi. Non possiamo essere tristi qua, abbiamo una bella vita a lavorare per il Milan».
EQUILIBRIO – «Una stagione è veramente lunga, dobbiamo restare tutti calmi e lavorare. Ci sono momenti difficili, è normale, magari giochiamo contro una squadra più forte, ci sono infortuni, problemi, ci sono tante cose. Quando vinciamo dobbiamo avere rispetto di tutti e lavorare per vincere ancora di più. Per me è importante restare stabili e fare la stagione fino alla fine, perché ci sono tante partite da giocare».
FUTURO – «L’idea è di creare un gruppo di giocatori forti che lavorano su tre-quattro anni. Abbiamo bisogno dell’academy che porta giocatori giovani e italiani per aiutare la squadra, è molto importante. Un progetto si fa su due-tre-quattro anni, se facciamo una bella squadra, un bel gruppo, in due-tre anni vinciamo le cose. Adesso abbiamo cambiato tanto, magari il prossimo anno cambieremo due-tre giocatori, ma almeno avremo già la base della squadra che è importante. Vogliamo tutti vincere subito, ma ci vuole un piano per fare le cose bene e portare giocatori, un gruppo forte ogni anno».
PERSONE DA RINGRAZIARE – «Ci sono tante persone. Al Monaco abbiamo avuto tanti direttori, ho imparato lo scouting con Pecini e Luis Campos, loro sono più direttori scout. Ho imparato tanto anche con Antonio Cordon, direttore sportivo spagnolo. Mi ha fatto imparare che il club deve essere una famiglia, tutti insieme, tutti i dipartimenti collegati insieme. Tutti devono essere un po’ importanti nel gruppo. Questo mi ha fatto capire tante cose: se abbiamo il club insieme, possiamo fare tante cose. C’è ancora da lavorare».