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Non bastava il derby perso, nuove accuse a Yonghong Li

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L’analisi de Il Corriere della Sera Economia non lascia ben sperare i tifosi del Milan in merito a Yonghong Li

È appena arrivato ed è già a caccia di soldi. E a corto di classifica. Tra un anno esatto suonerà il gong dei debiti e Li Yonghong non ha ancora ben chiaro chi è il Milan, dove può arrivare. Apre così l’articolo del Corriere della Sera sezione Economia in merito al presidente del Milan Mr. Li, il cui profilo è avvolto nel mistero.

I DETTAGLI – Di lui si sa poco, di partecipazioni in aziende quotate presentate come credenziali sul tavolo delle trattative ma che sono evaporate in parte o del tutto. O i bond del Milan parcheggiati alla Borsa di Vienna che in cinque mesi non hanno registrato un solo scambio. Tra un anno esatto andranno rimborsati insieme a buona parte del debito.

CAMPAGNA ACQUISTI – Non ha aiutato la faraonica – in termini di numeri – campagna acquisti portata avanti da Fassone e Mirabelli. Sono stati spesi 230 milioni nonostante un acquisto a debito di Li con tassi dell’11%. Le critiche non sono mancate, da Pallotta a Berlusconi che non ha avuto parole d’incoraggiamento. Il rinvio dell’assemblea (leggi qui) non è una sorpresa ma nemmeno preoccupa, sebbene il prossimo bilancio presenterà ancora un esercizio non così positivo.

SPINE E DIAMANTI – A sei mesi dal closing è che il presidente-minatore – Li possiede miniere di fosfati – è attaccato all’ossigeno dell’hedge fund Elliott di Paul Singer, tifoso tra l’altro dell’Arsenal. Tra un anno si potranno tirare le somme, sia dal punto di vista dirigenziale che sul campo: la qualificazione in Champions è importante se non decisiva. L’operazione di Li però ha una fisiologica componente di leva finanziaria a tal punto che ci sono già novità in merito.

SOCI – In questi giorni trapelano indiscrezioni su nuovi soci e in merito a trattative con banche internazionali per rifinanziare il debito. Fassone e Li mettono sul tavolo un piano industriale aggressivo, potenzialmente miracoloso sulle attese di ricavi in Cina (183 milioni nel 2018/2019). Secondo alcuni, però, dietro ci sarebbe China Huarong, un gruppo pubblico di asset management che avrebbe anticipato parte dei capitali con triangolazioni offshore. Li, tra l’altro, fino al 2015 era azionista di maggioranza nella quotata Duolun, ma
anche lì era tutto in pegno. Un altro asset citato nel curriculum? L’11,4% della Zhuhai Zhongfu (packaging) quotata a Shenzhen che avrebbe un valore di circa 115 milioni. Non viene precisato, però, che è un’azienda passata per una gravissima crisi, da anni non distribuisce dividendi, ha rischiato il default per il mancato pagamento di bond e il delisting per le continue perdite. Il valore oggi è quasi la metà. E poi non viene specificato che in realtà Li ha già venduto da due anni buona parte di quella partecipazione dichiarata.
Rifinanziamento è adesso la parola d’ordine. Anche per smontare i 128 milioni dei bond «viennesi» al 7,7% che sono finiti in pancia (con il carico a 360 gradi di pegni e garanzie che di fatto stoppa ogni via d’accesso alternativa al credito) a un veicolo di Elliott (Project Redblack) finanziato da due impalpabili società del Delaware (Genio e King George Investments). Nel frattempo forse si capirà chi è davvero lo schivo presidente del Milan, Li Yonghong. O per chi lavora.

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